Una storia impressionante, che all'emozione dell'amore materno aggiunge l'indignazione per la corruzione delle istituzioni, vacilla sul volto improprio della star designata a sostenere la parte. Fuori dai meriti e dall'impatto, intenso, Changeling contiene un morbo. E' una "defaillance" curiosa, non frequente, per certi versi interessante, soprattutto perchè rivela la probabile ansia di successo di Eastwood, che pensa a questo film da quindici anni. Meglio chiarire che si tratta di ansia di risultato, e non di consenso, etimologicamente "successo" come effetto dell'azione di denuncia nella disposizione di un autore che spera di raggiungere quante più persone possibili. Angelina Jolie è una garanzia, e al diavolo se portamento, eleganza, trucco, caratura mass-mediale, ma soprattutto il modello di una femminilità acuta e debordante, in linea con una certa vanità, va in corto circuito con l'identificazione del suo personaggio. Quando, in stazione, circondato dai giornalisti, il capitano Jones, restituisce orgoglioso il figlio scomparso mesi prima alla madre, la capo-telefonista Christine Collins passa dalla gioia alla disperazione: "Questo non è mio figlio!". Istruito a ripetere sempre: "Mamma" e "Mi chiamo Walter Collins", il ragazzino somigliante è la pedina di un incredibile complotto, un fatto vero accaduto a Los Angeles nel 1928. Pressato dai politici, accusato di non risolvere i numerosi casi di bambini scomparsi, il capo della polizia costringe la Collins a tornare a casa col bambino, la vessa, la minaccia. Quando la signora Collins incomincia a raccogliere le testimonianze della maestra e del dentista per smascherare la montatura, viene rinchiusa in un manicomio. Un autorevole reverendo (John Malkovich, bravissimo) informa i giornali e riesce ad aprire un'inchiesta, mentre un ragazzino rivela a un investigatore onesto di essere stato costretto a uccidere e sotterrare una ventina di bimbi rapiti da un folle assassino. Walter era uno di loro... Come un ciclone del cinema di denuncia, il nuovo lungometraggio di Eastwood si abbatte sulla corruzione della città "specchio del mondo", sulla polizia che manipola l'informazione e la verità, sul complotto delle istituzioni, l'internamento psichiatrico ricattatorio, l'emarginazione delle donne, la ferocia sui bambini, la pena di morte. Formalmente tradizionale, con una luce fosca (firmata dal Tom Stern del dittico su Iwo Jima), che dipinge di noir la soleggiata baldanza della California mentre entra nel disastro del '29, con un paio di scene potenti, risente la pianificazione dell'accumulo di svolte narrative. In fondo, è un melodramma centrato sulla figura dominante e coinvolgente della madre eroina. E' un cerchio con troppi centri. La scelta di una star di marchio esorbitante come la Jolie, pettinata e truccata anche quando scende dal letto, non plasma il personaggio nella sua verità tragica. Soltanto certi ordinari modelli di bellezza femminile, carnosa, ammiccante, possono considerare il primo piano di una madre sconsolata col volto imbambolato di Angelina.