A Roma, oggi. Corso è un investigatore privato, già in servizio alla polizia. Michelle, ex attrice e compagna di Corso molti anni prima, lo incarica di sorvegliare il figlio sedicenne. Corso esegue ma una sera in discoteca ne perde le tracce. Lo rivede fuori del locale, ma è troppo tardi: il ragazzo alla guida di una piccola macchina viene centrato in pieno da un SUV e muore sulla strada. Il dolore della mamma è incontenibile: separata dal padre, è ora sposata con Argento, un avvocato molto potente. Incaricato di andare avanti con le indagini, Corso finisce per scontrarsi con Torre, ispettore di polizia; tra i due c'erano stati in passato non pochi screzi. E anche ora proseguono con aspri confronti.
Marco, il figlio di Dino, dirige qui il suo lungometraggio numero 15: aveva cominciato con la leggerezza di Vado a vivere da solo (1982) e Un ragazzo e una ragazza (1984), ha toccato un certo realismo con Mery per sempre (1989) e Ragazzi fuori (1990), ed è arrivato a Fortapasc (2009).
Qui sta in bilico tra vari generi, costeggia il thriller, scende nel drammatico, sfiora il pamphlet politico. Il risultato è un racconto di generosa verità e di convinta meticolosità visiva. Risi ha il merito di non pretendere più di quello che può dare. Muove l'azione in una Roma notturna, buia, ostile nella quale il respiro dei potenti e dei corrotti alita forte e nel chiuso delle segrete stanze.
Unico appiglio la (presupposta) libertà offerta dalla tecnologia. Il regista ha uno sguardo secco e asciutto. Le regole di genere tengono abbastanza e ne risulta uno spettacolo “medio”,l convincente e di buona tenuta spettacolare.
Luca Argentero e Claudio Amendola duettano a muso più o meno duro, lanciando sferzanti giudizi sullo stato di salute (di malattia) dell'Italia. Eva Herzigova resta in scena poco, e fa bene. Cosi si rende credibile e accettabile.