Nuovomondo e nuove identità. Fiorite oltre il no passing di Ellis Island. E' il succo di C'era una volta a New York, melò d'epoca e trasmigrante di James Gray, tornato dietro la macchina da presa quattro anni dopo Two Lovers.
Oggi come allora gli amanti sono due, si guardano ma non si vedono, infine si lasciano dopo essersi ritrovati. Ma la stoffa è diversa e, rispetto al pregresso lavoro, meno pregiata.
1921, Usa, due sorelle polacche - Ewa e Magda (Marion Cotillard e Angela Sarafyan) - e una fortuna che non gira come dovrebbe. Dalla Polonia agli States, con effetto rimbalzo: Magda spedita subito in infermeria a curare la tubercolosi; Ewa prima ingiuriata (donna di malaffare), poi ufficialmente espulsa, infine illegalmente introdotta. Deve dire grazie a Bruno (Joaquin Phoenix), da lì in avanti il suo “protettore”, ma non del tipo angelico.
Tra le pieghe del dramma, storico e familiare (evidente il riferimento alle proprie radici e alla vicenda dei nonni, sbarcati a Ellis Island nel 1923), emerge l'ennesimo breve incontro della filmografia di Gray: due personaggi – Bruno e Ewa – che non appartengono a niente e a nessuno, senza più radici né patria, che finiscono perciò per appartenersi a vicenda, giusto per non perdersi e andare alla deriva.
Come in Two Lovers ciò che interessa a Gray sono le dinamiche di negazione e identificazione, qui messe in risalto, anzi “in abisso”, dalla cornice politica e morale dell'immigrazione americana. Perciò il regista di Little Odessa, più che alla ricostruzione d'epoca (basata sulle foto scattate dal nonno all'arrivo a Ellis Island) è interessato al posizionamento degli sguardi, con i protagonisti che si scambiano di continuo i ruoli di soggetti e oggetti della visione senza per questo vedersi, riconoscersi. Solo l'intervento di un terzo occhio – illusorio quello del mago (Jeremy Renner), rivelativo invece quello del prete confessore - costringerà Bruno ed Ewa a guardarsi negli occhi un'ultima volta e a riscoprirsi l'uno salvatore dell'altra.
Immerso nella luce gialla e polverosa ricreata da Darius Khondji e accompagnato dalle noti dolenti di Chris Spelman, C'era una volta a New York non possiede però la forza espressiva dei precedenti lavori di Gray, imbrigliato da troppe suggestioni (immigrazione, prostituzione, artificio, sacro) e inibito da una sceneggiatura fiacca. Quel poco di calore lo si deve a Phoenix e alla Cotillard, vivi nonostante tutto. Liberi nella riconciliazione, prenderanno finalmente la propria strada. Lasciandosi dietro un solo rimpianto: il film.