Nostra signora dell'infanzia. Carmelo Bene non c'entra, ma in ballo sono aspettative e desideri declinati al femminile: è Carissima me, produzione franco-belga diretta da Yann Samuell, giunto con brio all'opera terza, e one woman show tagliato su misura (tailleur) di Sophie Marceau, garante di successo al botteghino d'Oltralpe e attrice di classe e fascino internazionale.
E' lei a vestire i panni firmati di Margaret, tutta carriera, assertività e piglio dirigenziale. Ma c'è un problema: quella che percorre ad ampie falcate i corridoi del potere è solo un pallido riflesso, se non l'esatto opposto, della bambina che era e fantasticava sul proprio futuro. In altre parole, che cosa resta dei suoi desideri infantili? Il conto in banca levitato esponenzialmente, e una quota di prestigio sociale che più rosa non si può: null'altro, eccetto "le palle" di cotanta donna.
Eppure, il colpo di scena è dietro l'angolo: il giorno del fatidico quarantesimo compleanno, un anziano e genuino notaio di provincia le recapita le lettere che lei stessa si era scritta quando aveva sette anni, l'età della ragione (titolo originale, L'age de raison).
Non è una semplice missiva brevi manu, ma la via maestra per innumerevoli, tambureggianti flashback e, soprattutto, per il buon, vecchio e maledettamente archiviato esame di coscienza: che ne è di quella bambina, di quella Margaret che sfogliava su carta i petali del suo radioso, umano, umanissimo avvenire?
La risposta, e le risposte, in questa commedia di ri-formazione, tanto demodè quanto sociologicamente fantascientifica: Carissima me, e carissimi noi, se sapremo ritornare in contatto con noi stessi, la nostra (l'unica) parte autentica. Ma, almeno a scorrere le cronache patrie popolate di nani, ballerine e altri scarti abbacinati dal potere, chi scientemente scambierebbe il successo per l'autenticità? Margaret sì, ma noi? Tutto il resto non è noia, seppur il film si impegoli in una regia scolastica, con reparti tecnici palesemente a mezzo servizio e un pernicioso (fiabesco) ottimismo da legare.
Comunque, vien voglia di prendere carta e penna, e riscriversi il futuro prossimo: qui, adesso.