Si possono mescolare Bernanos e Sedaris, Bresson e (il primo) Danny Boyle? Soprattutto, è possibile farlo senza tradire i primi né sconfessare i secondi? E' questa la scommessa, ampiamente vinta, su cui(si) gioca Il calvario, Premio Ecumenico a Berlino 2014: realizzare un film “bergmaniano” nei temi ed esuberante nei modi.

L'irlandese John Michael McDonagh (era suo Un poliziotto da Happy Hour: pessimo titolo, buon film), mostra fegato e talento nel sapersi destreggiare tra registri diversi - dal tragico al grottesco, dal metafisico al dissacrante - mantenendo compattezza narrativa e armonia formale.

Perno centrale dell'operazione e paradigma di tutte le sue meravigliose contraddizioni è il prete di una minuscola isola al largo di Dublino, padre James (Brendan Gleeson), corpulento fuori e tenero dentro, faccia da tipico ubriacone irlandese, convertitosi all'astemia e alla religione cattolica dopo la morte della moglie. Il calvario racconta la sua settimana di passione, iniziata con la minaccia di morte raccolta in confessionale e destinata a concludersi nel tragico faccia a faccia con l'assassino.

Sette giorni per morire, trascorsi nel cercare di salvare più anime che può, come farebbe il buon pastore con le pecorelle smarrite. Il problema è che il gregge di pecore somiglia più a un branco di lupi pronto a sbranare l'agnellino: potenziali uccisori, adultere impenitenti, medici senza Dio, prostituiti, affaristi, cocainomani e persino una figlia aspirante suicida.

Tra sketch paradossali e domande ultime, il film scivola via giorno dopo giorno, abisso dopo abisso, allungando la sua ombra minacciosa su quella fiammella che padre James tenta eroicamente di tenere accesa (“Non esistono cause perse”, ripeterà più volte, mentre la sventura si abbatte su di lui come ai tempi di Giobbe).

Così, su questa isola-mondo sospesa su un vischioso aldilà, si consuma il classico dramma dostoevskiano: è più forte il peccato o la grazia, la colpa o il perdono? Sullo sfondo anche la cronaca, con le questioni scottanti della pedofilia (la chiesa irlandese è stata quella maggiormente coinvolta negli scandali), dell'eutanasia e della guerra al terrorismo, passate in rassegna con humor nero, a tratti feroce, non per questo banale.

La mano di McDonagh è ferma, il cast di contorno molto azzeccato (da Kelly Reilly a Chris O'Dowd, da Domhnall Gleeson ad Aidan Gillen), le battute di dialogo fulminanti. Efficaci i contrasti di luce (l'illuminazione di Larry Smith è gelida in esterni, infernale in interni), solenne lo score di Patrick Cassidy, maestoso Brendan Gleeson.

La salita al Golgota non è mai stata tanto avvincente.