Il suo Burraco fatale avrebbe voluto girarlo nella natia Pesaro, Giuliana Gamba, ma l’assenza di una locale film commission ha fatto dirottare il set su Anzio, location che permette un raffinatissimo scambio di battute. “È anziano?” chiede la vedova allegra Caterina Guzzanti all’amica Claudia Gerini, appena invaghitasi di un uomo misterioso, che risponde nell’unico modo possibile: “No, è giovane”.

Troppo navigata, la regista, per non sapere che si tratta di un gioco di parole davvero al limite (non è l'unico), nonostante la dichiarata intenzione di voler mettere in scena una favola piena di ironia. Coproduzione italo-marocchina, Burraco fatale segna il ritorno al cinema di Gamba a trentuno anni da La cintura, adattamento di un testo teatrale di Alberto Moravia: una rentrée che racconta storie di donne desiderose di evadere dalla routine quotidiana, tema centrale nella sua produzione sin da quando, negli anni Ottanta, emerse come una delle poche registe al mondo di pellicole erotiche.

Qui i toni sono naturalmente più tenui, i colori si fanno morbidi, il clima è rilassato. Il film ha la scaltrezza di intercettare un argomento che riguarda più gente di quanto si possa immaginare: la moda del burraco, passatempo ma anche ossessione di molti giocatori – soprattutto giocatrici – disposti a trascorrere ore attorno a un tavolo verde tra pinelle e pozzetti.

Il gruppo è composto da quattro donne, programmaticamente l’una diversa dall’altra (Guzzanti è una borghese che campa di rendita, Angela Finocchiaro una casalinga disperata e alienata, Paola Minaccioni una notaia scanzonata e dedita al Fantacalcio), ma l’attenzione si focalizza in particolare su Claudia Gerini, violoncellista tradita dal marito e innamoratasi di un pescatore marocchino che non è quello che sembra. Piacerà probabilmente alle spettatrici che si riconosceranno nelle ritualità del gioco e nella caratterizzazione dei personaggi, ma Burraco fatale ha il difetto nel manico.

La sceneggiatura di Gamba e Francesco Ranieri Martinotti – all’origine c’è un soggetto scritto dalla regista con Iaia Fiastri, alla cui memoria è dedicato il film – si affida troppo alla voce narrante di Gerini che spiega tutto – ma davvero tutto – senza lasciare un po’ di spazio a quell’immaginazione che invece dichiara di voler rincorrere.

La stessa regia eccede un po’ in primi piani ed effetti non molto convincenti (le lune marocchine, gli aerei tra le nuvole), ma dalla sua ha il montaggio di Esmeralda Calabria che riesce a trasmettere leggerezza e fluidità. La carne al fuoco è tanta e peccato che alcuni personaggi siano lasciati al loro destino, come la suocera della misurata Loretta Goggi in love affair con il prefetto Antonello Fassari. Si sente qualche problema in fase di produzione, ma il contributo dato dalle attrici (qua e là gigioneggianti) è meritorio nell’abitare questa frivola fantasia borghese di provincia.