Claudio Santamaria ha ormai un certo sesto senso per gli esordi dietro la macchina da presa. Dopo l’incredibile successo di Lo chiamavano Jeeg Robot si "trasforma" ancora una volta. Da improbabile supereroe lo ritroviamo storpio e pelato, con tanto di riporto, e la periferia romana sempre sullo sfondo.

Stavolta è il Papero, mendicante senza gambe e leader carismatico di una banda di freaks decisa a compiere la rapina che ti svolta l’esistenza. Sono Brutti e cattivi (anche sporchi, sì), ma non gli manca l’ambizione e la voglia di cambiare vita.

Trascorsi da scenografo, Cosimo Gomez fa il suo esordio in regia portando sullo schermo il suo stesso soggetto che nel 2012 vinse il Premio Solinas. Politicamente poco corretto, grottesco e bizzarro, a tratti volutamente trash, Brutti e cattivi è il Freaks del 21° secolo in chiave dark comedy: l’assunto di fondo è abbastanza semplice e finanche smaccato, si può essere dei bastardi senza scrupoli anche da menomati. È il concetto stesso di uguaglianza che lo prevede. Come, del resto, ogni rapina che si rispetti prevede poi “deviazioni” dal piano collettivo originario per provare ad accaparrarsi in solitaria l’intero malloppo.

Oltre a Santamaria, fanno parte del gruppo la Ballerina senza braccia (Sara Serraiocco, sorprendente), il Merda Giorgio Armani (sì, proprio come lo stilista, tossico interpretato da Marco D’Amore) e il nano Plissé (Simoncino Martucci, mago delle casseforti e “abilissimo” con le donne, “mo te faccio er mulinello”…): ed è proprio quest’ultimo, nel suo “piccolo”, vero rapper romano che in passato ha avuto qualche guaio con la giustizia (“So’ Simoncino – guai a chi me tocca – e se tu ce provi – io te sparo n bocca”, una delle sue rime), a portare quel tocco di verità in più ad un cast e a una storia già abbastanza estremi.

Molte le trovate divertenti, con vette di volgarità stracult e qualche momento pulp, il film ha dalla sua anche la durata essenziale (86’) e un’innegabile freschezza. Che non lo rende esente da qualche forzatura di troppo e un po’ squilibrato nella seconda parte. Ma il divertimento c’è, così come la consapevolezza di segnare un’ulteriore tacchetta sui sentieri di un cinema di genere che merita di essere alimentato in continuazione.