La Cina ci ha preso gusto. Dopo il massimo premio a Berlino alla detective story Bai Ri Yan Huo/Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan e il successo di Trap Street di Vivian Qu alla Settimana della Critica 2013, ecco un altro film tinto di nero. Stessa sezione, la Sic, ma opera completamente diversa da quella portata in concorso l'anno passato dalla regista e produttrice anche del titolo premiato con l'Orso d'oro, che per un curioso cortocircuito è pure lei a Venezia per attribuire il Leone del Futuro.Per tornare al film, Binguan/Una bara da seppellire, si tratta di una oscura vicenda che ha come fulcro una bara trasportata qua e là per le montagne contenente i resti di non si sa chi. Molte le possibili vittime tra le quali un bullo fanatico e un marito tradito, ma la verità si sa si nasconde sempre dietro le apparenze. I misteriosi resti avranno un nome solo alla fine. E con esso arriva pure la soluzione del mistero. Un giallo in piena regola dunque, diviso in capitoli come ogni romanzo di genere che si rispetti, legato a personaggi che sembrano lontani l'uno dall'altro e che invece rivelano legami nascosti e indissolubili.Meno formalmente accattivante di Trap Street e meno di atmosfera di Black Coal, Thin Ice, il film di Xin Yukun si snoda in un villaggio della Cina rurale, perfetto microcosmo all'interno del quale osservare le umane debolezze, gli istinti violenti, gli atteggiamenti insinceri, le colpe e le virtù di ogni singolo abitante. Insomma, il piccolo paese sperduto come specchio di una Cina permeabile alla corruzione e al delitto. Non che la denuncia sociale sia l'obiettivo del regista, che si diverte molto a ricostruire la misteriosa storia andando avanti e indietro nel tempo e soffermandosi a lungo su molti particolari. Ecco, semmai proprio l'eccessiva lunghezza suona come l'unico vero limite del film. Una stretta ai minuti avrebbe giovato a questa per altri versi matura, prova evidente di un talento in attesa di maturare.