Abbiamo perso il conto dei documentari in gloria del nostro star system musicale. Di derivazione anglosassone, in buona sostanza fanservice di lusso, generalmente agiografie retoriche, in larga parte estensioni di reel confezionati con più materiale, qua e là interessanti per qualche guizzo che lascia intravedere le vere crepe, sono appendici audiovisive che hanno il compito di puntellare più che costruire narrazioni.

Prime Video ne ha distribuiti a iosa, bypassando completamente – e ragionevolmente – l’uscita in sala: Ferro about Tiziano (2020), Laura Pausini – Piacere di conoscerti (2022), Mahmood (2022), Sbagliata ascendente leone cioè Emma (2022), Sento ancora la vertigine su Elodie (2023), Bruciasse il cielo con Blanco (2023), Ragazzi madre di Achille Lauro (2023), Vivo con i sogni appesi per Ultimo (2023), RH+ ovvero Rocco Hunt (2023). Sicuramente dimentichiamo qualcosa (ricordiamo su Netflix Vasco Rossi – Il supervissuto), ma, insomma, è vero che si somigliano un po’ tutti, che c’è una certa pigrizia sia nella realizzazione che nella ricezione, che difficilmente aprono spiragli di novità su personaggi che, al netto di gusti e opinioni, si raccontano già molto tramite i profili social, le apparizioni pubbliche, il rapporto con i fan.

Eppure, qualcuno è riuscito a inserirsi in questo filone offrendo qualcosa di davvero diverso, rispettandone le regole e allo stesso tempo uscendo dagli schemi: è Cosmo che, diretto da Jacopo Farina, attraversa – è davvero il caso di usare questo verbo – tutto Antipop, il doc biografico prodotto da Sony Music Entertainment, Antipop e 42 Records e disponibile dall’1 marzo su MUBI (la piattaforma più underground è una collocazione perfetta). Del genere c’è tutto, struttura narrativa compresa: dalle immagini di un concerto, con la voce fuori campo del cantautore che riflette sullo stato delle cose, si torna indietro, dai primi passi rievocati da amici e familiari (non ci sono né colleghi né critici né studiosi: scelta di campo coerente e precisa) ai punti morti di una carriera che fatica a sbocciare fino al successo imprevisto con L’ultima festa e Cosmotronic (l’album con Sei la mia città, Ivrea Bangkok, Quando ho incontrato te).

Antipop
Antipop

Antipop

(MUBI)

Antipop è un viaggio attorno a un corpo che rivendica un posto nel mondo, il racconto di formazione di una voce che cerca uno spazio in cui esprimersi, lo spaccato di una provincia che è un microcosmo (appunto: “Dalla provincia ti aspetti l’ordinario, la mia famiglia ha sempre guardato oltre”). Prima di essere il cantautore di culto, Cosmo al secolo Marco Bianchi da Ivrea è il figlio di un padre “che poteva essere tanto il personaggio di un film di Garrone quanto quello di un film di Franco e Ciccio” e di una madre che a un certo punto diventa campionessa di bodybuilding (la separazione dei genitori è uno spartiacque), è il nipote di nonni, entrambi impiegati all’Olivetti e “comunisti internazionalisti”, che a un certo punto fanno armi e bagagli e se ne vanno in Sri Lanka per aprire un ristorante (tornano presto).

È il ragazzo con un disperato bisogno di fare musica (che significa stare insieme, condividere, diventare famiglia), che registra canzoni nelle case degli amici con cui suona (i Mélange, poi i Drink to Me), che realizza album corsari con le copertine fotocopiate, che comincia a essere ascoltato e quasi non se ne rende conto, che vive un dolore che non se ne va (la morte dell’amico Andrea), che trova nell’amore la soluzione per sopravvivere.

Non c’è agiografia, in Antipop, perché ogni cosa rivela un’autenticità palpabile (la genesi delle canzoni, come Le cose più rare), un anticonformismo che non è programmatico ma naturale, una malinconia mai fasulla in sintonia con il noise degli inizi, l’indie come categoria dello spirito e la linea psichedelica dell’elettropop (e il merito è anche di Farina, già autore di alcuni dei migliori videoclip di Cosmo). Un gran bel documentario, il migliore italiano del suo genere dai tempi di Temporary Road – (una) Vita di Franco Battiato (lasciamo da parte quelli sui miti che non ci sono più, da Ennio a Gaber passando per Battisti e Jannacci), breve (un’ora) e ricchissimo, in cui il protagonista non ha bisogno di dilagare per incastonarsi nella memoria.