Storia di solitudini, di conflitti, di cicatrici che non rimarginano, soprattutto storia d'amore. E' Angèle e Tony, debutto nel lungometraggio della francese Alix Delaporte, già Leone d'oro nel 2006 con il corto Comment on freine dans une descente?.
Lei è appena uscita dal carcere, è insofferente a tutto, cerca un marito da esibire come argomento davanti al giudice dei minori che dovrà decidere sulla tutela del figlio. Lui, Tony, è il prescelto. Però è anche il burbero, il taciturno, il pescatore abituato a navigare in mare aperto ma incapace, finora, di giocarsi veramente per l'altro. Angèle invece fatica ad andare avanti, pedala oscillando pericolosamente alla disperata ricerca di un punto d'equilibrio.
Il film è tutto nei loro sguardi che si sfiorano, si sottraggono, lanciano segnali. Nella gravità senza rimedio di un villaggio che sembra condannato a ripetere se stesso, stancamente. La Delaport riannoda lentamente i fili di due esistenze interrotte, naufraghe, portando loro e noi a scoprire che c'è ancora un'alba dopo il crepuscolo. L'esercizio è raffinato e un po' fine a stesso.
E Angele e Tony un perfetto esempio di quello che è oggi il cinema francese d'introspezione: un antico mobilio di legno pregiato sorretto dalle gambe di ferro di solidi attori. Scricchiola tutto, ma non crolla.