Come chiamare il ritorno sul piccolo schermo di eroi e di eroine di un’altra epoca?

Reboot, remake, revival, sequel… appartengono ormai al quotidiano seriale. Portatrici di nostalgia, queste operazioni si rivelano sovente prodotti impuri che sottolineano crudelmente il tempo che passa o prestano il fianco a confronti sempre a favore dell’originale. Sono monumenti vintage rianimati per profitto o magari per vedere l’effetto che fa ritrovare qualcuno o qualcuna che avevamo tanto amato.

And just like that… le eroine di Sex and the City (1998-2004) sono di ritorno diciassette anni dopo il primo episodio della serie culto di HBO. Dexter (2006-2013), ribattezzato nel 2021 Dexter: New Blood, le anticipa di un mese. Due ‘comeback’ la cui forza creativa risiede nei loro autori: Michael Patrick King e Clyde Phillips. Una ‘voce’ rinasce, in senso autoriale e nel senso del ‘gioco’. Il tratto particolare dei personaggi principali era proprio la parola pronunciata in voce off.

Carrie Bradshaw commentava episodio dopo episodio un mondo che era il suo mondo e problemi che erano i suoi problemi; Dexter Morgan confessava l’abiezione della sua anima per giustificare una vita di menzogne. Nella nuova versione di sé, le voci off brillano all’inizio per la loro assenza. Nel corso della prima puntata, il timbro acuto e rotto di Carrie giace coi suoi mille vestiti nella cabina armadio, proprio come quella più metallica di Dexter sotto un manto di neve. Poi qualcosa accade. Due irruzioni macabre disegnano il ritorno del male per lui, l’inizio di un lutto per lei. Quando Dexter uccide di nuovo, il serial killer pronuncia una frase (“È passato tanto tempo…”) che cancella magicamente la distanza con la persona che fu. Carrie, al contrario, quando la voce riemerge non riesce più a parlare. L’amore della sua vita è morto e le sue parole fuori campo ritornano solo per trattenerla dalla parte dei vivi (“And just like that, Big died”).

Da un lato un espediente, che prova a riparare qualche cosa e prende atto di quello che avrebbe dovuto essere la serie originale (uccidere il padre e trasferire il DNA di Dexter a Harrison), dall’altro un legame ritrovato (coi fan) che celebra il passato senza preoccuparsi troppo dell’avvenire. La serie sembra quasi perdersi nelle prime puntate, confrontando le sue eroine col presente, ma ritrovarsi non appena volge indietro lo sguardo.

And Just Like That non è affatto la catastrofe che tutti temevamo dopo due film derivati dall’originale. La serie sorprende sotto il prisma di uno choc generazionale piuttosto che sotto quello della conversione ideologica. Miranda, che torna a studiare a cinquant’anni, si scontra con una nuova generazione, molto militante, che crede di comprendere ma con cui sbaglia convinta di fare bene. Avanguardiste vent’anni prima, le protagoniste di Sex and the City sono diventate improvvisamente reazionarie? Gli episodi rispondono avanzando con stile e toccando il cuore.

Il merito va quasi interamente a Sarah Jessica Parker che sembra non aver mai lasciato il suo personaggio. Ha vent’anni di più ma la sua Carrie ha lo stesso allure, la stessa voce, la stessa intonazione. Il resto lo fa la morte imprevista di Big che permette alla serie di dispiegarsi, alla ricerca di un secondo soffio. A partire da quel momento un sentimento segreto ci invita a seguire Carrie, a non lasciarla sola mentre ripara nel suo ex appartamento nel West Village, lo stesso in cui scriveva gli articoli che servivano da filo conduttore alle sei stagioni di Sex and the City.

Voce commentativa e metalinguistica, che chiosava i dialoghi vivaci fra le protagoniste, Carrie è di nuovo cantrice di una narrazione che dietro la trasgressione e l’umorismo, incarnato da Charlotte (quella che assomiglia di più alle donne perfette e convenzionali che la serie beffeggia amorevolmente), rivela tutta la sua genuina e misconosciuta vena di doloroso realismo, con personaggi di spessore lontani dalla farsa come dalla macchietta. L’eroina ultra fashion di Sex and the City si era congedata dopo aver finalmente stabilizzato la sua tumultuosa relazione con Mister Big. Carrie scendeva dal tacco dodici e con lei finiva una certa idea di moda e di mondo.

Qualcuno fatica a mandare giù che l’incarnazione stessa della libertà vivesse con un uomo tossico, una vera canaglia egocentrica, che tutto il cast fosse extra bianco e privilegiato, che le protagoniste parlassero di sessualità senza mezzi termini, che il femminismo di ieri non fosse insomma quello che è oggi. Se errori c’erano, lasciamoli al passato e alla sua epoca, che Sex and the City ha rivoluzionato rompendo i tabù sulla sessualità femminile e influenzando la televisione (Girls). A cinquantacinque anni, la cronista dell’amore porta fieramente i suoi capelli lunghi e le sue vertiginose Manolo Blahnik e ha qualcosa nello sguardo che impedisce qualsiasi sarcasmo. Il suo ricco guardaroba è trattato come quando aveva vent’anni: un simbolo di emancipazione e di unicità mentre oggi è sinonimo di abitudine gregaria.

Il lutto di Big, morto di una crisi cardiaca a cavallo di una cyclette che suona come un monito (non serve a niente correre, il peso degli anni finisce sempre per acciuffarci), spinge Carrie a un ritiro intimo che non è né rinuncia né tristezza. Inciampando su alterità o masturbazione, dibattendosi con l’assenza di Samantha, esiliata a Londra per giustificare il ‘gran rifiuto’ di Kim Cattrall, la ragazza di Manhattan si illustra in un podcast sul sesso interrogandosi non tanto sull’epoca ma sulla maniera di adattarvisi quando si è nati negli anni Sessanta.

Il dramma che la colpisce prende la forma di un abito nero, di un velo sugli occhi e di una vita privata d’un tratto dell’amore. Un dramma che precipita la serie in una nuova dimensione a cui contribuisce anche l’assenza di Samantha, il personaggio più libero sessualmente ma anche più ‘sensibile’ agli effetti del tempo che passa. Il meno accomodante. Carrie, Miranda, Charlotte e perfino Stanford e Marcus si adattano alla nuova ‘stagione’. A colpi di pudore, quelle che due decenni prima incarnavano una forma di cool, tengono il colpo e forniscono risposte più ponderate mettendo in luce quello che Sex and the City aveva solo sfiorato. A cominciare da quell’avvenimento sismico e indissociabile dal fatto stesso di aver vissuto: la perdita dell’essere amato.

Uno schiocco di dita e la vita cambia, il tempo non vale più se non per torturarci. Ma col lutto la serie assume la forma che più le conviene, tutta la sua malinconica e tutta la sua perseveranza. And just like that…Carrie ritrova un bacio vero, Charlotte la ‘fede’ in se stessa, Miranda i suoi capelli rossi.