Chi era Alfredo Bini? Il documentario diretto da Simone Isola, presentato a Venezia Classici, risponde a questa domanda con dovizia di particolari e sentita partecipazione. Tra i più illustri e lungimiranti produttori cinematografici italiani del dopoguerra, il nome di Bini è indissolubilmente legato alla figura di Pier Paolo Pasolini, di cui produsse tutti i film dal clamoroso esordio di Accattone (1961) sino all’Edipo re del 1967. Infaticabile lavoratore e armato di una testardaggine rara nell’affrontare le ristrettezze censorie di un’Italia per certi versi ancora fin troppo ipocrita e puritana, per lunghi anni Bini seppe incarnare quel tipo di produttore coraggioso e controcorrente, la cui carriera fu spesso costellata da successi travolgenti accompagnati da frequenti polemiche. Preziosi dunque si dimostrano, nel nostro documentario, i contributi di personalità, tra gli altri, come Bertolucci, Giuliano Montaldo e Claudia Cardinale, e impagabili per interesse le testimonianze alla produzione (filmati d’archivio, interviste, pagine di giornali d’epoca) di pietre miliari del nostro cinema, come Mamma Roma o Il bell’Antonio. 

Solido pur nella sua convenzionalità, il documentario si carica del meritorio impegno di rinfrescare gli scaffali della nostra memoria cinematografica di italiani (e non solo), prendendo a modello un uomo dotato di una straordinaria capacità nel riconoscere il genio, per illuminare le zone d’ombra di quella complessa macchina che è l’industria del cinema. A noi spettatori si chiede, in sostanza, di tenere presente un fatto: dietro la personalità fortissima dell’autore esistono, devono necessariamente esistere, altre personalità di alta caratura e di acuta capacità organizzativa per far sì che il talento degli autori possa infine manifestarsi e spiccare. Questo è stato Alfredo Bini. Ad avercene.