Disney continua la sua serie di adattamenti live action dei propri classici del passato, fenomeno di difficile interpretazione ma di radici e portata generazionale, con Aladdin, remake diretto dal Guy Ritchie dei due Sherlock Holmes cinematografici e King Arthur – Il potere della spada.

Tra i giovani interpreti, la figura di guida dentro e fuori dalla storia è rivestita da Will Smith, nei panni del Genio della Lampada. Il terzetto di protagonisti e antagonista è composto da Marwan Kenzari, Jafar, Mena Massoud, Aladdin, e Naomi Scott, una Jasmine particolarmente brillante. Il resto è ordinaria amministrazione, per il colosso di Topolino: una vera scimmia ammaestrata a fare Abu, una vera tigre per fare Rajah, un vero pappagallo come Iago e, come tappeto magico, secondo logica, un vero tappeto.

Il tutto è ovviamente condito e aiutato dalla magia del CGI, con effetti speciali molto poco invasivi, per una sospensione dell’incredulità mantenuta intatta con merito, salvo naturalmente la deroga nelle scene musical più affollate, le più convincenti dell’intera pellicola. Nonostante piccoli aggiornamenti a testi e coreografie dei brani cult, è un piacere godere di nuovo sul grande schermo di pezzi quali Un amico come me, Principe Ali e Il mondo è mio, colonna sonora di una generazione di spettatori e pronti, forse, a diventarlo (con qualche aggiunta inedita) anche per un’altra.

 

Quello che manca all’appello, quindi, non è tanto l’atmosfera del film, comunque un pizzico meno suggestivo dell’originale, ma un’identità particolare che gli conferisca l’energia di cui quell’atmosfera ha bisogno, per entrare nel cuore dello spettatore. Aladdin è una bella storia, solida di default, impossibile non restarne colpiti, ma questo Aladdin sembra farvi totale affidamento, giocando sul sicuro e senza esporsi, mai, al minimo rischio-opportunità.

Se vi aspettate quindi che Guy Ritchie (The Snatch, Operazione U.N.C.L.E.) abbia co-scritto e diretto il film nel suo tipico stile da heist movie d’azione, di cui persino il suo incerto King Arthur aveva giovato, vi attende una delusione. La pellicola si lascia guardare ma la regia è canonica, estremamente equilibrata, non è pervenuta alcuna marca d’intrattenimento “autoriale”. Similmente a quanto già recentemente accaduto con Tim Burton sul live action di Dumbo, non è un difetto di per sé, se non per la mancanza di sorprese, ma un vero peccato, considerato quanto in alto si sarebbe potuti volare.