Come sono nate le celebri Air Jordan? Ovvero, qual è stata la genesi del rivoluzionario accordo commerciale siglato tra Nike e Michael Jordan nel 1984?

Ben Affleck trasforma la sceneggiatura di Alex Convery, finita nella Blacklist hollywoodiana, e porta sullo schermo Air, che in Italia ha sottotitolo La storia del grande salto assai meno pregnante dell’originale Courting a Legend.

Diciamolo subito, Air è assai meritevole, da cui la domanda: Air sarà un nuovo Argo, che valse nel 2013 a Affleck la sua seconda statuetta, Miglior Film?

Anche interprete del guru Phil Knight, Affleck segue la contrattazione tra l’anticonformista manager della Nike Sonny Vaccaro, incarnato da un perfetto e imbolsito Matt Damon, e la madre di Michael, Deloris, che lo stesso cestista ha preteso fosse incarnata dalla EGOT , ossia vincitrice di Emmy, Grammy, Oscar e Tony, Viola Davis. Altra premura di Jordan, “assicurarsi che altre persone significative per lui fossero incluse nella storia”, quali il suo allenatore alle Olimpiadi del 1984 George Raveling (Marlon Wayans), il consulente Howard White (Chris Tucker) e ovviamente il padre James (Julius Tennon, peraltro marito di Viola Davis nella vita).

Back in the days, il lancio del marchio Air Jordan avrebbe cambiato per sempre lo sport e la cultura contemporanea, dischiudendo inedite opportunità per gli atleti, garantendo loro una percentuale sulle vendite degli articoli perché, segnatamente, “una scarpa è solo una scarpa finché qualcuno non ci mette piede”.

Sebbene un parallelo con Jerry Maguire del 1996, starring il temibile procuratore sportivo Tom Cruise, sia effettivo, Air trascende l’ambito sportivo, echeggia il court drama pur senza finire in tribunale, e miscela intrapresa personale e sinergia aziendale, sogno americano e Cenerentola, facendo del duetto/duello tra Sonny e Deloris punto focale drammaturgico e architrave simbolico, ossia capitalistico, giacché l’esito avrebbe plasmato dal campo di basket fino ai palchi dello spettacolo tanta parte del nostro immaginario collettivo.

Jumpman, l’uomo che salta, (ri)approda sul grande schermo – vi ricordate Space Jam? – per interposto accordo commerciale – quanto di simbolico, davvero – e per preposta serie: lo sceneggiatore Alex Convery durante il lockdown ha guardato su Netflix The Last Dance, dove c'è una piccola sequenza sulla nascita delle Air Jordan, ma grazie a Sonny e Deloris ha “elevato Air al di sopra di un semplice film su una scarpa”.

C’è un rimando metacinematografico interessante in questa riesumazione: già premi Oscar per la sceneggiatura originale di Will Hunting – Genio ribelle nel 1998, gli amici Affleck e Damon con la loro neonata casa di produzione Artist Equity vogliono garantire tramite il profit-sharing migliori condizioni agli impiegati della filiera, replicando quel deal che “ha avuto un effetto a catena da centinaia di miliardi di dollari per gli atleti”.

Targato Amazon Studios e distribuito da Warner Bros., che pone una valida ipoteca sulla prossima award season, Air esalta la fattura registica di Affleck, rinnova la solidarietà con Damon, perfeziona l’American Dream: se Jordan è il più grande di sempre, questo suo non-film non è lillipuziano.