Sarebbe bello avere la possibilità di rivedere in video alcuni attimi della propria vita, poterli mettere in pausa o tornare indietro per esaminarli e viverli di nuovo. Ancora più interessante sarebbe riuscire a vedersi con gli occhi degli altri, cioè capire come questi percepiscano te stesso e le tue azioni. Potenzialità che Jake (Colin Farrell) acquisisce in After Yang, opera seconda di Kogonada, regista e videoartista sudcoreano, premiata al Sundance.

In un futuro prossimo gli esseri umani vivono a stretto contatto con androidi aventi rassomiglianze antropomorfe. Questi vengono acquistati, nuovi in fabbrica e ricondizionati nei negozi, per fare da aiutanti nelle abitazioni delle persone. Della famiglia di Jake e la moglie Kyra (Jodie Turner-Smith), genitori della piccola Mika (Malea Emma Tjandrawidjaja), fa parte anche Yang, l’intelligenza artificiale di etnia cinese, assunto per fraternizzare con la bambina, adottata e anch’essa originaria della Cina, ed aiutarla nel sentirsi “a casa”.

La routine segue pressoché con lo stesso copione, ogni giorno: Kyra, impegnata per ore a lavorare pur riuscendo a mantenere un rapporto materno accettabile con Mika, e Jake, proprietario di un negozio di the, scostante e assenteista nella quotidianità di Mika. L’unico legame in continua evoluzione è quello tra la giovane e Yang, ormai divenuto insostituibile e necessario per appianare le mancanze della madre e del padre. Così tanto fusionale che quando inizierà a non funzionare correttamente, Mika assumerà comportamenti di crisi e turbamento, spingendo Jake a trovare il modo di ripararlo a tutti i costi. Durante la ricerca, dapprima svolta senza particolare attaccamento poi sempre più ricca di verità rivelate, l’uomo si porrà vari quesiti sul concetto di amore, perdita e individualità, prendendone finalmente coscienza.

After Yang
After Yang
After Yang

Partendo dalla valenza temporale del titolo e dal percorso rasserenante del protagonista, è da scandire la narrazione in due momenti distinti, un prima e un dopo “Yang”. Un’anteriorità caratterizzata dall’incapacità di comunicare, comprendersi e soprattutto dalla diffidenza verso il ruolo che la macchina ha occupato nella famiglia; una posteriorità, invece, in cui Jake ne intuisce l’umanità, evolutasi con l’osservazione della realtà, e il primario apporto di Yang nel colmare la distanza emotiva. Dal malfunzionamento in poi Jake, grazie ad un’investigazione sincera, imparerà a comprendere le problematiche della figlia, mai completamente a suo agio con l’essere “diversa" all’interno del nucleo familiare.

Ad emergere sono osservazioni sul significato di appartenenza culturale, sull’avere un confronto specifico all’interno del quale condividere caratteristiche culturali comuni, in un processo dinamico costante, sull’adozione e sull’importanza delle radici che andrebbero sempre accettate e comprese. Mika si percepisce un rame “attaccato con lo scotch” all’albero genealogico e sarà proprio Yang a spiegarle che lei è invece il frutto di un’innesto e non parte estranea del nocciolo.

Basato sul racconto sci-fi Saying Goodbye to Yang di Alex Weinstein, il film ha una straordinaria pulizia formale data dal minimalismo delle forme e dall’ambientazione di per sé limitata e priva dei canoni futuristi del genere fantascientifico di riferimento.

Il pregio di After Yang infatti è quello di non soffermasi sul lato apocalittico e catastrofico che potrebbe scaturire dalla convivenza tra l’umano e la macchina; bensì quello di evidenziarne una possibile umanizzazione. Certamente, la deriva problematica non viene esclusa in toto, ma diviene aspetto esistenziale su cui riflettere e porsi domande: può una macchina con sembianze e sentimenti umani, cessare di essere un automa? O meglio, è giusto che questo possa avvenire?