Il titolo originale è già una dichiarazione d’intenti: Adoration. L’amore passa attraverso l’adorazione dell’altro per il regista belga Fabrice Du Welz. Significa donarsi, fondersi, guardare il mondo con gli occhi dell’amante. Due giovani: Paul segue la madre che lavora in una clinica psichiatrica, Gloria è ricoverata, è instabile. Gli opposti si attraggono, la fuga è solo l’inizio di un nuovo viaggio. L’unica via è lavorare sulla comunione con la natura. Lui trascorre le sue giornate nei boschi, fugge dalla follia dell’uomo per rifugiarsi tra gli animali. Ed è qui che il film rallenta, assume toni contemplativi.

L’intento spirituale è chiaro. “L’adorazione” non è solo verso Gloria, verso la sua esuberanza, il suo essere selvaggia. Scaturisce dagli uccelli di cui Paul si prende cura, da quelle giornate in cui gli alberi silenziosi sembrano gli unici interlocutori. Il significato religioso è anche nell’interrogarsi sull’aldilà, nel domandarsi che cosa c’è dopo, se chi non c’è più continua a osservarci da lontano. Paul a volte sembra non capire, specialmente quando gli adulti gli parlano di memoria, lutto. Ma è proprio questo il filtro che utilizza Du Welz: l’innocenza.

Il percorso di crescita è turbolento, sospeso tra l’ingenuità di Paul e lo squilibrio di Gloria. Si viene proiettati in una rinnovata Rabbia giovane, in cui la voglia di evadere è figlia dell’oppressione, delle costrizioni imposte dall’alto. Per il cineasta è la conclusione di un cammino. Alcuni la definiscono la Trilogia delle Ardenne: Calvaire, Alleluia e Adorazione.

Il “Calvario” era un abisso di violenza e follia, che portava a una crocifissione. Anche qui la donna desiderata si chiamava Gloria. Alleluia aveva caratteristiche simili, ancora una volta erano i traumi infantili a determinare la brutalità. Adorazione invece invoca la quiete. Il delirio è solo sfiorato. Quello dei due protagonisti è una parabola che li costringe a scavare nelle loro anime. Non a caso i loro volti a tratti sembrano sovrapporsi, mentre il tempo rallenta.

Lo spazio è un elemento centrale per il cinema di Du Welz. La calma delle prime sequenze si contrappone al tormento di ciò che verrà. Il sentimento tra Paul e Gloria li unisce e li allontana. Hanno dodici anni, e si comportano da adulti. Alla ferocia del presente, scelgono un universo parallelo. Adorazione è un film carico di mistero, di nostalgia. Si immerge in una fanciullezza che non è ancora adolescenza, in una fase di transizione intrisa di pericolo.

Ma tutto si risolve in poche bellissime battute: “Non mi lascerai mai, vero?”, “No, mai”, “Allora ti amerò per sempre”. Forse Adoration è la storia di Du Welz che più si concentra sulla speranza. I colori non sono così bui, e anche nella sofferenza sembra esserci un barlume di ripresa. La salvezza è nelle emozioni. Mai trattenute, straripanti, sintomo di evasione.

Adorazione è libero. Invita a uscire, a non omologarsi, a comprendere invece di condannare. Supera le sbarre della malattia mentale, si interroga sul confine tra realtà e finzione, fa dei silenzi e degli sguardi il suo tratto distintivo.  Un brivido di maggio che scalda il cuore, con una regia misurata, che sa quando esplodere con tutta la sua forza. Presentato al Tertio Millennio Film Fest, è distribuito da Wanted Cinema.