Abluka. Frenzy. Follia. Dal turco all'inglese, finendo con l'italiano. Una singola parola con cui delimitare una condizione, circoscrivere un luogo, transennare un'esistenza. O, più semplicemente, il titolo del secondo lungometraggio del regista Emin Alper, che non lascia spazio ad altre interpretazioni. Basta il martello pneumatico sonoro con cui Cevdet Erek introduce (accompagna e conclude) il film per comprendere la portata di un crescendo paranoide che non farà prigionieri.

Siamo a Istanbul. Dopo 18 anni in gattabuia, Kadir (Mehmet Özgür) ha l'occasione che non si presenta più: libertà condizionale a patto di lavorare nella nuova unità di spionaggio composta da raccoglitori di rifiuti. Sì perché, gli spiegheranno poi in un brainstorming con altri "colleghi", tra l'immondizia è possibile scovare i resti di qualsiasi materiale utile ai terroristi per la fabbricazione di bombe. Diligente, Kadir si mette all'opera. Torna anche dal fratello Ahmet (Berkay Ateş), che lavora per il comune come agente di una squadra incaricata di eliminare i cani randagi della città. Ma Ahmet, che non vede il fratello da quando aveva sette anni, è sfuggente, "chiuso". Al punto da incominciare a nascondersi quando l'altro cerca di andarlo a trovare. E quando improvvisamente scompare anche la coppia di vicini con cui Kadir aveva fatto amicizia, fare 2+2 per lui sarà inevitabile...

Un'altra scena del film

E' un oggetto affascinante e asfissiante, Abluka, un film che vive di continui strappi e misteri, una metafora con cui tentare di inquadrare un contesto soffocante. Emin Alper, dopo Beyond the Hill, si concentra sulle crescenti paranoie di un paese, che va a caccia di rifiuti e di cani randagi: esplosioni estemporanee e in lontananza fanno tremare le case e scricchiolare le finestre. Con loro, iniziano a vacillare le esistenze di personaggi già al limite: abbandonato da moglie e figli, Ahmet adotta clandestinamente un cane che in precedenza non era riuscito ad ammazzare. Kadir, dal canto suo, giorno dopo giorno costruisce teorie del complotto che lo condurranno all'autodistruzione. In mezzo, il vuoto di un terzo fratello, quello mediano, scomparso misteriosamente da 10 anni.

Al tempo stesso strumenti e vittime di una violenza sistematica, i due protagonisti sono valvole periferiche di un meccanismo perverso che non prevede uscite di sicurezza: è un crescendo di chiusure (Ahmet finirà per barricarsi in casa) e incubi, di rumore (l'insistenza di campanelli e telefoni, di sveglie e picconate) e latrati, di sirene e raid: la follia ha preso il sopravvento. La paranoia è lacerante. I quartieri disagiati di Istanbul bruciano, esplodono.  Il terrore uccide.