Londra vista dall'alto è una capitale fantasma. L'epidemia di rabbia che ha colpito la città, trasformando la popolazione in un branco di zombie, è stata sedata grazie all'intervento dell'esercito che ha messo in salvo i superstiti e sterminato gli infetti. Sei mesi dopo i fatti, un contingente americano - affiancato da un equipe di scienziati - dà il via a un piano di ripopolamento della metropoli che prevede un primo insediamento protetto nel distretto periferico dell'Isola dei Cani. Non passerà molto, che il caso anomalo di una portatrice sana del virus rinfocolerà il contagio...
C'è tanto Danny Boyle - già artefice del primo, produttore esecutivo del secondo - in questo sequel di 28 giorni dopo: oltre ad alcune scene girate con la seconda unità, l'autore di Trainspotting fa il casting. Azzeccando (quasi) tutto. Dagli attori come Robert Carlyle o l'esordiente Mackintosh Muggleton, che donano ai personaggi uno spessore normalmente sconosciuto al genere, al regista - lo spagnolo Fresnadillo dell'acclamato Intacto - che al respiro e alle divagazioni di Boyle preferisce il movimento nervoso della camera (stile reportage giornalistico), un montaggio veloce e spezzettato e l'utilizzo frequente delle inquadrature zenitali, ad accrescere il senso d'oppressione. 28 settimane dopo non è impeccabile nella sceneggiatura, ma ha indubbiamente più ritmo del predecessore, più gore, più fascino. A suo favore giocano infatti il viraggio sporco della fotografia, le chiuse location al buio, e la colonna sonora - nuovamente di John Murphy - che rinuncia alle canzoni affidandosi ad un unico motivo portante dalle risonanze spettrali. Due scene clou: l'elicottero militare usato come falce per gli infetti, e la pioggia di fuoco che i cecchini scaricano sulla calca senza più distingure tra umani e mostri. E' il passaggio più scopertamente politico del film, nella migliore tradizione del cinema dei "morti viventi". Famelici consumisti quelli di Romero, rabbiosi cani da abbattere questi zombie-post 11 settembre. E la guerra del terzo millennio, più efficacemente che in altre occasioni, entra prepotente nell' iconografia del film, come quel finale nel "tubo"- la metropolitana di Londra - la cui valenza simbolica rimanda senza più filtri nè effetti speciali a inquietudini ed orrori reali.