Furbizia di programmazione o fato compiacente? Il sorriso sornione che fa Thierry Fremaux guardando il "suo" parterre fa propendere per la prima ipotesi. Sembrava fatto apposta: sabato scorso a Cannes si sono dati appuntamento Michael Moore, Leonardo Di Caprio e Bono Vox. Cos'hanno in comune? Un'insopprimibile voglia di cambiare il mondo. Così vicini, così diversi i tre moschettieri (mancava Al Gore - D'Artagnan) hanno dato stoccate dolorose al Sistema. Ma se Bono si è accontentato di qualche slogan e di un concerto a sorpresa, Leo e Mike ci sono andati giù pesante. Il divo di Titanic ha portato sulla Croisette L'11° ora, documentario di cui è produttore, voce narrante e ispiratore dietro le quinte, grazie alle sorelle newyorkesi Conners Petersen, ligie esecutrici delle volontà del nuovo attore feticcio di Martin Scorsese. "Il lavoro è tutto loro -le difende- io mi sono solo limitato a fare le domande giuste e a cercare le risposte. Anche perché entrambe, sui media non si vedono mai". Ne è uscita fuori un'arringa accorata e un po' (tanto) didattica sulla disastrosa situazione del nostro pianeta. Un passo verso l'ecoalfabetizzazione, necessaria visto che l'undicesima ora, nella metafora temporale che viene usata, non è altro che il punto di non ritorno, il passo prima del baratro. Lavoro volenteroso e quasi tenero nel suo finale sfacciatamente demagogico ("noi americani siamo un popolo generoso e volenteroso, se decidiamo di salvare il mondo ce la faremo") è un mix scolastico tra The Corporation e Una verità sconveniente. Un documentario di interviste e montaggio, vagamente ossessivo e didascalico e cinematograficamente non giudicabile. Ma utile. Per sapere chi è Phil Cooney, per esempio, spregiudicato lobbista dell'industria dei petroli. Il colpo di grazia, però, ce lo ha dato Michael Moore, con Sicko (da sick, malato), indagine sul sistema sanitario americano. Il regista di Flint è sempre lo stesso: divertente e acuto, ma anche demagogico nel linguaggio, parlato e filmato. Ma questa volta sembra aver raggiunto la sintesi migliore della sua quasi ventennale carriera. Abbandonata la politica per un argomento specifico (ciò che gli riesce meglio, vedi Roger & Me e Bowling for Colombine) compie un piccolo giro del mondo per mostrarci la folle iniquità della sanità privata americana. Un'accusa potente, commovente, implacabile che ricorda L'uomo della pioggia di Francis Ford Coppola. Partiamo dall'amato Canada, per finire in Inghilterra e in Francia, per scoprire con semplicità che nessun paese occidentale affida la salute dei suoi cittadini a fameliche compagnie private di assicurazione. Moore ha il suo solito stile: da conservatore compassionevole, nostalgico dell'America dei Padri, quella giusta e idealista, sa dove andare a parare. Colpisce al cuore mostrandoci gli eroi trascurati dell'11 settembre e la dissoluzione fisica di famiglie borghesi. Già perché il documentario non è per i 50 milioni di americani che non hanno l'assicurazione medica (e per i 18000 di loro che ogni anno muoiono per questo motivo) ma per i 250 milioni che ce l'hanno e si vedono rifiutate cure necessarie per cavilli giuridici e produttività. Così il colpo allo stomaco finale, il viaggio a Cuba (approdo obbligato dopo che aveva organizzato una nave medica che andasse a Guantanamo dove la sanità per i terroristi, o presunti tali, è gratuita!) lascia senza possibilità di reagire. Strazia la donna, volontaria a Ground Zero (e per questo con le vie respiratorie irrimediabilmente compromesse), che piange quando scopre che le sue medicine a L'Avana costano 5 centesimi e non 120 dollari così come quando scopre che nell'ospedale centrale cubano, per curarla, le chiedono solo il nome. E allora a Mike, come a Di Caprio, si perdona tutto, persino i facili trucchetti, cinematografici ed emotivi che usano per spogliare il Re. Perché una cosa ci dimostra il proliferare di questi documentari "arrabbiati": gli statunitensi sono privi di consapevolezza sulle storture del loro sistema, non ne conoscono i reali problemi. Per una struttura mediatica e politica troppo compromessa con le multinazionali e per una naturale propensione all'isolazionismo (per questo Moore viaggia, per questo gli scienziati di Di Caprio sono di tutti e 5 i continenti). E ora, dopo anni di menzogne e inganni vogliono sapere, la loro granitica fiducia nel sistema è crollata. Per questo Moore fa più paura del solito e rischia persino la prigione (ricordate Lennon?).