In un progetto televisivo dedicato al XX secolo, la personalità e l'immensa opera di Papa Giovanni Paolo II, che quel secolo ha indelebilmente segnato, non poteva mancare. Compito di grande responsabilità storica e documentaristica quello assunto dalla coproduzione internazionale capeggiata dalla LuxVide e da RaiFiction, per questa nuova biografia per immagini diretta dal canadese John Kent Harrison e dedicata al papa polacco, narrazione di una vita che inizia dalla sua terra martoriata nel 1939 e si conclude con la morte nel 2005. Girato in dodici settimane tra Italia e Polonia e costato 22 milioni di dollari, Giovanni Paolo II - che sarà priettato in anteprima il 17 novembre in Vaticano alla presenza di Benedetto XVI - è stato una vera e propria sfida artistica e umana per l'attore americano premio Oscar Jon Voight. "Film anche sovversivo - dice l'attore - perché farà arrivare il messaggio del Papa alle nuove generazioni, cambiando la loro prospettiva e il loro rapporto col mondo. Una figura difficile da interpretare, perché Karol Wojtyla è stato sì un Papa, ma anche un erudito, un poeta, un mistico, un uomo di enorme intelligenza, pungente e silenzioso, atleta sportivo e grande ottimista. E, non dimentichiamolo, pure un vero attore".

Jon Voight pensa di essere riuscito a comprendere l'uomo e il Pontefice?

La cosa importante che ho scoperto è come avevamo erroneamente date per scontate tante cose su di lui: la sua politica, la sua capacità di trattare con le persone, la sua tremenda fede, le sue posizioni morali, da dove veniva questa sua energia.  Penso che la gente si commuoverà molto con questo lavoro. Basti pensare al coraggio dimostrato nell'affrontare il comunismo. Molti dei fatti accaduti hanno avuto a che fare con quest'uomo, con la sua energia, grazie ai suoi rapporti, con il collegamento al passato, al suo Paese, la sua particolare visione della storia e della vita. Era una voce costante, in Polonia, efficace contro questi regimi di terrore come nazismo e comunismo.

Si è trovato più vicino al Giovanni Paolo II missionario e pellegrino oppure al Giovanni Paolo II oppresso dal peso della malattia e del dolore?
Devo dire che sono legato a tutte e due le dimensioni. Se c'è un dono che distingue il mio lavoro di attore è proprio quello di aver interpretato molto bene le anime di coloro che soffrono. Ti commuovi con la mia interpretazione perché puoi sentire la sofferenza della gente, la confusione, la paura, tutto ciò che ha a che fare con questi tormenti interiori e fisici. Credo sia questo uno dei motivi che mi hanno convinto. D'altra parte lei ha menzionato anche il Papa pellegrino. Io amo la gente, come lui. Ho sempre cercato l'incontro con le persone, ogni giorno. Per questo mi sono forse molto identificato con l'amore che Giovanni Paolo II aveva per la gente.

Lei sarebbe più soddisfatto se, al termine della fiction, uno spettatore fosse confermato nella fede oppure se un non credente fosse più vicino alla fede cristiana e si sentisse pronto ad una possibile conversione?
Giovanni Paolo II è stato l'unico capace di riunire tutti i diversi capi religiosi delle diverse culture ad Assisi. Lui si è prodigato per questo. Una delle cose davvero commoventi nel suo ministero è stato l'aver toccato il Dalai Lama, l'aver abbracciato gli indiani d'America. Lui ha portato la spiritualità ovunque, l'ha fatta scoprire in tutto il mondo. Tutte quelle persone così diverse si sono sentite rafforzate dalla sua spiritualità. Questo suo incoraggiamento si è indirizzato a tutti gli uomini, nessuno escluso. Lui lo sapeva: il fiume della verità non è esclusività per pochi. Ecco perché è stato così grande.

Ha più volte ripetuto che il suo impegno contiene anche tutte le sue preghiere. Quali preghiere e per chi?

Le mie preghiere sono per tutti i giovani, perché possano trovare una guida che li aiuti ad attraversare i pericoli che esistono nella vita moderna. Sono convinto che si sta dando mentalmente ai giovani del veleno, invece che il vero nutrimento per la vita. I giovani soffrono per la mancanza di una guida morale che bisogna indicare loro. Questo è stato ciò che Giovanni Paolo II ha sempre proclamato.