Sembra la Rai che fu, di tutto, di più. Ma non è la Rai, perché è (anche) meglio.

Venezia 75 è il festival che non conosciamo, che forse immaginiamo, che di certo avremmo voluto: c’è di tutto, da Lady Gaga (A Star Is Born) a Orson Welles (l’incompiuto The Other Side of the Wind), dalla Realtà Virtuale a Netflix (Orson e altri cinque titoli, tra cui The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Joel e Ethan Coen e Roma di Alfonso Cuaron), dai classici restaurati ai campioni del reale (Frederick Wiseman, Errol Morris, Sergei Loznitsa), e c’è di più.

E’ una sensazione geolocalizzata, un sospetto di preminenza: di aver avuto la meglio su Cannes, di essere oggi “IL” festival nel panorama globale. Concorrono volontà e casualità, l’aver scommesso prima di tutto sulla VR – l’omologo di Alberto Barbera, Thierry Fremaux, convenne che “ormai per Cannes è troppo tardi” – e il non avere in Italia una window capestro (36 mesi, tra la richiesta uscita in sala e lo sfruttamento streaming) come in Francia, e poi il fiuto, la direttrice, anzi, la bisettrice tra quello che era, Venezia, e quello che avrebbe potuto, dovuto essere.

Gravity, Birdman, La La Land, Three Billboards at alii hanno realizzato il “Go West!” di Barbera & Baratta, sicché quello di First Man, che apre quest’anno restituendo la coppia lalalandiana Damien Chazelle (33 anni, diconsi trentatré) e Ryan Gosling, è accadimento metaforico: il Lido è oggi Cape Canaveral, l’award season (Oscar, Globes etc.) hollywoodiana la Luna.

E guarda che luna: il francese Jacques Audiard, che con cast (Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake Gyllenhaal) & crew americane gira in Europa il western The Sister Brothers; Yorgos Lanthimos con The Favourite, interpretato da Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz; Julian Schanbel, che da artista a artista dipinge Van Gogh (Willem Dafoe) in At Eternity’s Gate; Suspiria di Luca Guadagnino, targato Amazon Studios, e dulcis in fundo A Star Is Born, con Bradley Cooper tuttofare, dalla regia al canto, e le statuette già accarezzate. E l’Africa? E qualche altro territorio non contemplato? E le donne, una sola in Concorso? La risposta è univoca: noi – parafrasiamo Barbera e la sua squadra – non vediamo chi, ma osserviamo che cosa, in breve, noi guardiamo film. Che poi, diciamolo, imputare la siccità alla foce, il festival, e non alla sorgente è deficit intellettivo o disonestà intellettuale.

Da par suo, Paolo Baratta, il presidente della Biennale, spiega perché gli anni dalla prima sin qui sarebbero 87 ma l’edizione la 75esima, dunque parla di storia, che un po’ l’ha fatta, un po’ la mette in mostra (vinta Cannes, si può osare la mise en abyme…) a suon di fotografie al redivivo Hotel Des Bains. Grandeur, sì, memoria, certo, e ritorno al futuro: Martone, Guadagnino e Minervini per il Leone, come fossero – sono? – i grandi italiani che fummo. Quanto è vecchia questa Venezia, e quanto inedita: da vedere, da farsi vedere, e da credere. Siamo arrivati primi, e chi se lo ricordava più?