"Immaginate un paese dove il presidente non legge i giornali e scatena una guerra per le più sbagliate ragioni e dove la gente vota più per il proprio pop idol che per il nuovo presidente". La frase di lancio di American Dreamz (con la "z") lascia ben poco spazio all'immaginazione. Ci ha pensato il regista Paul Weitz a tradurre in immagini questa (pre)visione dai toni quasi apocalittici. American Dreamz è il titolo del reality show più seguito degli Stati Uniti, in cui un gruppo di sconosciuti vengono messi alla ribalta e votati dal pubblico per le loro esibizioni. La nuova stagione televisiva sta per partire e il conduttore senza scrupoli Martin Tweed (Hugh Grant) deve selezionare i concorrenti (che lui stesso definisce "sgorbi"). Tra gli aspiranti finalisti anche Sally (Mandy Moore), cantante in erba che sfrutta il ritorno dell'ex fidanzato William Willams, reduce da quattro giorni (!) di guerra in Iraq, per imbastire una nuova storia d'amore con cui deliziare e conquistare il pubblico. Poi ci sono Omer, giovane arabo aspirante cantante e terrorista (ma questo nessuno lo sa) e Sholem, ebreo ortodosso dotato di una buona voce ma troppo imbranato. Per alzare l'audience non esistono mezze misure e Tweed ottiene quello che a nessuno era mai riuscito in un reality show: avere come ospite, nella serata finale, il presidente degli Stati Uniti (Dennis Quaid). Irreale? No, se si considera che il presidente - appena rieletto - è depresso e da circa tre settimane non concede alcuna intervista né rilascia dichiarazioni. Il Segretario di Stato (un irriconoscibile ma sorprendente Willem Dafoe) prende allora in mano la situazione e per smentire le voci di un esaurimento nervoso del presidente ne organizza il rilancio in grande stile: dopo averlo munito di un auricolare col quale suggerirgli le risposte appropriate, lo costringe a sostenere decine di interviste e a farsi immortalare dai fotografi con la sua star più amata (la Carmen Electra di Scary Movie, un incrocio tra Pamela Anderson e Britney Spears). E come rush finale, la consegna del premio al vincitore di American Dreamz. Peccato che Omer sia armato e pronto a farsi esplodere non appena il presidente salirà sul palco… Paul Weitz parte da una massima di Andy Warhol ("Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti"), raduna un cast eccezionale guidato dai due attori che finora gli hanno dato le maggiori soddisfazioni - Hugh Grant di About a Boy qui nel suo ruolo migliore e il Dennis Quaid dell'acclamato In Good Company - e scrive e dirige una commedia che tanto commedia poi non è. "La situazione in Medioriente non cambierà mai" dice il presidente Quaid alle telecamere durante il discorso di apertura della trasmissione, nel suo unico momento di lucidità (e dopo aver perso l'auricolare). Ogni riferimento alla politica di Bush è puramente casuale?. Paul Weitz non è però Michael Moore. E non ambisce forse neanche ad esserlo. Durante i titoli di testa fa volare una colomba con l'elmetto in testa da un nome all'altro. Come armi sceglie sarcasmo e paradosso. Il soldato Williams viene accolto come eroe di guerra dopo essere stato ferito da una pallottola impazzita (mentre stava comodamente seduto in un furgone…), i terroristi arabi improvvisano balletti nelle loro tende e tra un addestramento l'altro e si entusiasmano come bambini con le esibizioni del loro amico Omer. La superficialità regna sovrana tra i protagonisti di American Dreamz. Chi sembra uscire dagli schemi è lo stesso presidente, che una mattina decide di rinchiudersi in casa per leggere i giornali e capire che cosa succede veramente nel mondo. Il risultato? Inizia a fare domande scomode e viene bollato come depresso. Weitz fa a pezzi il sogno americano con il sorriso sulle labbra, ritrae una società (ma siamo sicuri sia solo quella americana?) in cui vige l'ossessione per la fama e gli idoli televisivi mentre il resto del mondo va a rotoli, sembra non prendersi troppo sul serio ma è un inganno ben architettato: non si può essere seri in un paese dove la massima ambizione è quella di trionfare in un reality show. "Gli Americani devono essere compatiti per l'America?" si chiede ad un certo punto Omer. La risposta sembra essere no, considerando la reazione negativa dei critici americani che hanno bollato la comicità del film come stupida e stereotipata. Il finale ribalta i luoghi comuni, ma è solo apparenza. Muoiono sia i buoni che i cattivi. Vincono i furbi, gli astuti, quelli senza scrupoli. Ma c'è ancora un barlume di speranza per il futuro della nazione: è il presidente americano, che per un attimo sembra rinsavire e cerca invano di fare l'eroe per scongiurare l'attentato alla consegna del premio. Se non è satira questa.