Germania, Corea del Sud e Iran: in Concorso, ma senza entusiasmi, tutt'altro. Si accartoccia su se stesso, con una narrazione sfilacciata e personaggi irrisolti Vergiss Dein Ende (Way Home), opera seconda di Andreas Kannengiesser, che inquadra derive e approdi al tempo della malattia: Klaus è disabile, la moglie Hannelore se ne prende cura, fin quando implode, e sul mar Baltico accetta l'ospitalità di Gunther, un vicino di casa, lasciando il figlio Heiko a occuparsi - per la prima volta - del padre. Lei cresce in consapevolezza, non il film, che insiste sui diaframmi della Natura per celare/rivelare amori e misfatti di un dramma formato famiglia, seguendo le ragioni, anzi, gli istinti, di un abbandono del tetto coniugale. Intrecci, inversioni e coscienze, tanta la carne la fuoco, ma i malesseri non sono solo davanti, ma dietro la macchina da presa: la Way Home non porta al Cinema.
Va sensibilmente peggio a Ganjeung (A Confession), esordio del sudcoreano Park Su-min, che frulla poliziesco e (im)possibile redenzione, torture e patemi spirituali, seguendo l'anziano e solo Park Duk-joon (Gwon Hyuk-poong), un ex torturatore di Stato che perde l'unica amica, rispolverando il “mestiere” e le sue ossessioni. Tentativo fallimentare di riscrivere, senza nemmeno il coraggio delle intenzioni, il genere, A Confession inquadra il crocefisso come neanche in una fiction sui santi, ma finisce solo per portare la croce del dubbio più stolido, scambiando l'assenza di Dio per assenza di Cinema. Non serve dire di più, ma davvero è una confessione di inadeguatezza, e basta.
C'è il sospetto, viceversa, di maniera nell'iraniano Seh-O-Nim (Three and a Half), opera seconda di Naghi Nemati, ovvero la sintesi conformista e pastorizzata di Bahman Ghobadi (Turtles Can Fly, citato con le tartarughe, e I gatti persiani, con la colonna sonora) e Asghar Farhadi (Una separazione) desunta dal trittico femminile Hanieh, Homa e Banafsheh, detenute in letterale libera uscita, ovvero dai confini dell'Iran. Ce la faranno? Poco importa, ma le loro peripezie in frammezzate di inserti lirici - parka, bottiglie di vetro che sprofondano nell'acqua – difettano di suspense e barattano l'intimismo psicologico con un road-movie costellato di prevedibili svolte e inversioni a U di dubbio interesse. Insomma, il problema è serio per il cinema iraniano: basta rialzi la cresta con l'ottimo Farhadi & Co. che subito spuntano gli epigoni.