La retrospettiva del 33° Torino Film Festival (20-28 novembre 2015), curata da Emanuela Martini, è dedicata alle “cose che verranno”, agli scenari futuri come sono stati immaginati dal cinema di fantascienza e dagli autori che hanno descritto il mondo dei decenni a loro successivi: dagli anni Trenta alle soglie del Duemila, una carrellata su città brulicanti, asettiche o piovose, su alienazione, aggressività e dominio, su regimi totalitari o violenze consumistiche, nello sguardo spesso disperato e attonito, sempre lucidissimo, di grandi autori come Kubrick, Godard, Truffaut, Resnais, Ferreri, Scott, Gilliam, Cronenberg, Kathryn Bigelow e altri ancora, e nei molteplici esemplari di genere che, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, si sono allontanati dalle meraviglie del possibile per concentrarsi sugli orrori del probabile, non solo nel cinema anglosassone, ma anche in quello europeo e orientale. Come di consueto, nella retrospettiva, che si articolerà in due anni e due edizioni del festival, verranno presentati sia esemplari imprescindibili per l'immaginario contemporaneo, sia opere di autori che si sono avvicinati solo occasionalmente all'argomento, sia film di genere, talvolta poco noti, spesso dimenticati, con particolare attenzione agli anni Sessanta e Settanta, che produssero una vera fioritura della science fiction distopica. Un grande scenografo americano, William Cameron Menzies, nel 1936 diresse un film tratto da un romanzo di H. G. Wells, nel quale si raccontava cosa sarebbe avvenuto in una città immaginaria dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale: Things To Come (in italiano La vita futura), che oggi appare piuttosto retorico e statico, ha tuttavia un impatto scenografico nella rappresentazione della Terra nel Duemila che ne fa, insieme a Metropolis di Lang, uno dei caposaldi dai quali partire per un viaggio nelle utopie (e soprattutto nelle distopie) messe i scena dal cinema: come abbiamo immaginato il nostro mondo futuro? E quanto, nel suo continuo interscambio immaginario con la realtà, il cinema ha inciso sulla “creazione” della fisionomia del mondo attuale? Quanto c'è oggi, ovunque, della Los Angeles di Blade Runner o della Londra di Arancia meccanica? E delle cataste di rottami di Week-end di Godard e di Crash di Cronenberg? E delle leadership politiche di rock star immaginate da Peter Watkins in Privilege o da Barry Shears in Quattordici o guerra? Per non parlare delle disastrose previsioni ecologiche (dalla morte dell'erba al cannibalismo, dalle inondazioni alle glaciazioni) e psicologiche (atrofia dei sentimenti, fine dei maschi, giochi pubblici violenti per incanalare l'aggressività, rincorsa dell'eterna giovinezza che trasforma gli umani in robot e, all'inverso, progressiva umanizzazione di robot, androidi, replicanti, cyborg…). Il cinema ci ha fatto vedere tutto questo (e molto altro ancora) senza allontanarsi dalla Terra, prima un po' a tentoni, ispirandosi soprattutto alle grandi distopie letterarie di Orwell e Huxley, poi, nel momento in cui la fantascienza cinematografica ha raggiunto i livelli di quella letteraria (più o meno negli anni Sessanta), prendendo spunto dagli autori di genere più lucidi del dopoguerra (Bradbury, Sheckley, Matheson, e poi Kingsley Amis, Philip Dick, William Burroughs, J. G. Ballard, William Gibson) e proiettando nel futuro i dati del reale, in una narrazione che combina proiezione e anticipazione, e che continua ad ammonirci di non perdere di vista l'umanità, qualsiasi forma essa assuma.