Di amori impossibili il cinema è ghiotto, ma un uomo che s'innamora di un sistema operativo stuzzica ancora l'attenzione del pubblico: succede in Her, l'ultima fatica di Spike Jonze, presentato in concorso all'8° Festival Internazionale del Film di Roma e in sala prossimamente per BIM. Per curiosare dietro le quinte di quest'ennesimo dipinto visionario della sua carriera, il regista ha incontrato il pubblico della kermesse capitolina e la CineChat prossimamente sarà trasmessa sul canale di Mediaset Premium, Studio Universal.
Her – spiega – non vuole prevedere quello che ci riserva il domani, ma immagina come sarebbe vivere in un mondo comodo e facile, ma che alla fine fa sentire soli. La tecnologia mette tutto a portata di mano ma questa realtà utopica isola le persone e ferisce ancora di più. Le riprese si sono svolte tra Los Angeles e Shangai per dare un tocco futuristico alle vicende e gli abiti dei protagonisti virano su colori caldi e morbidezze rassicuranti, mentre per la colonna sonora mi sono rivolto a uno dei miei gruppi preferiti, gli Arcade Fire, che avevo seguito e filmato fin dai primi concerti. Nei titoli di coda ho voluto ricordare e ringraziare gli amici come James Gandolfini che sono scomparsi durante la lavorazione ma che ci hanno aiutato molto. Con lui ho avuto un rapporto stupendo per il film Nel paese delle creature selvagge e volevo che fosse presente così anche in Her”.
La pellicola fornisce più domande che risposte: “Il desiderio d'intimità - aggiunge - non viene realizzato: da sempre l'umanità si affanna per mostrarsi nel modo in cui vuole essere vista ma poi alla fine ognuno diventa una persona diversa asseconda del suo interlocutore”.
Il desiderio di mettere a nudo l'anima davanti alla telecamera affonda in radici profondissime: “Sono cresciuto con la telecamera in mano – ricorda il cineasta – e riprendevo con i miei amici gli eventi quotidiani, una pattinata insieme o una passeggiata. Realizzavo video o cortometraggi e scrivevo storie di ogni genere. Quando ho esordito al cinema con Essere John Malkovich mi sono reso conto che per dirigere un attore dovevo ripensare ai personaggi che mi avevano maggiormente incuriosito o emozionato”.
Ecco come Jonze arriva, allora, a destrutturare la realtà: “Mi sono sempre detto di guardarla con gli occhi dei bambini, che sono nuovi al mondo e non hanno idea di come usare le cose o di come vivere convenzioni e costrizioni mentali. Semplicemente non ne hanno. Quindi la forza di grandi artisti, come Meryl Streep ad esempio, risiede nel senso di esplorazione e gioco con cui si approcciano a un copione”.
La compiutezza di un'opera secondo il regista è un delicato equilibrio di fattori a volte casuali: “Un lavoro frutto di una pianificazione ma anche della magia del momento. L'ho capito lavorando a Jackass con i miei amici. Non realizzavamo qualcosa perché piacesse agli altri, ma parlavamo di qualcosa che ci toccava profondamente. Il merito va anche agli incontri fatti a 20 anni, agli artisti che mi hanno ispirato con l'esempio. Charlie Kaufman è uno di quegli incontri incredibili dell'esistenza. Tuttora è la prima persona che chiamo quando mi balena per la mente un'idea e a volte siamo così in sintonia da non ricordare chi dei due l'abbia avuta per prima”.