Mentre La grande bellezza trionfava agli oscar europei di Berlino e i giornali italiani - gli stessi che fino a poco tempo fa esprimevano non poche riserve sul film - ricamavano sull'evento come nemmeno Erodoto dopo la battaglia di Maratona, Paolo Sorrentino si trovava a Marrakech in compagnia di Martin Scorsese per consacrare un altro talento del cinema italiano, Andrea Pallaoro, regista di Medeas.
Ricevere un premio alla regia da una giuria composta tra gli altri da Scorsese, Sorrentino, Fatih Akin e Park Chan-wook è come ottenere la patente di guida direttamente dalle mani di Schumacher. Notevole, no? Se poi a essere premiato è un giovanissimo regista italiano (classe '82) al suo esordio nel lungometraggio, "notevole" diventa un aggettivo accanto a "notizia", o dovrebbe, se avessimo ancora critici di settore non omologati ai desiderata di potentati, tappeti rossi e uffici stampa.
Succede invece che uno dei talenti più cristallini che l'Italia abbia prodotto negli ultimi anni (insieme a Minervini e Frammartino) non meriti neppure un trafiletto a fondo pagina. Un tempo almeno potevamo lamentarci di arrivare in ritardo, dopo che i nostri tesori li scoprivano gli altri. Era comunque un meglio tardi che mai. Oggi non serve nemmeno l'investitura di Scorsese o di Sorrentino per farci drizzare le antenne. Non stupiamoci allora di ritrovarci con un carrozzone così sgangherato, inetto, senza spina dorsale. Il cinema italiano è lo specchio della sua stampa, e viceversa. Non indigniamoci poi - sempre poi - che il bellissimo Medeas non abbia nemmeno un'ipotesi di distribuzione qui da noi.
D'altra parte la storia di Pallaoro, trentino di origine, ma americano d'adozione (si è formato, vive e lavora a Los Angeles), somiglia e non poco a quella di Roberto Minervini, altro cavallo di razza del nostro cinema su cui nessuno ha deciso di puntare. L'Italia è la terra dei talenti che fruttano altrove.
Forse non li meritiamo. La riprova ieri sera alla Sala Trevi di Roma. Venuto a presentare il suo lavoro a Tertio Millennio (per fortuna ci sono ancora i piccoli festival), Pallaoro si è distinto soprattutto per il ripetuto uso del "grazie". Una parola che raramente abbiamo sentito dire da altri italiani le cui fortune superano abbondantemente i meriti. Chi non la dice, dice tutto in realtà del tronfio dizionario del nostro declino.