"Senza Arirang non sarebbe esistito Pieta, film che rappresenta un nuovo inizio nel percorso della mia carriera". Ci aveva spaventato Kim Ki-duk, l'anno scorso a Cannes, quando presentò Arirang, straziante diario di un particolare momento della sua esistenza, caratterizzato da impasse creativa e profonda depressione. Ora torna in Concorso a Venezia (otto anni dopo Ferro 3 - La casa vuota) con Pieta, finora l'opera in gara per il Leone d'Oro più applaudita dalla stampa, che Good Films porterà nelle sale italiane dal 14 settembre: "E' un film che vuole raccontare l'essenza umana, che vuole parlare di salvezza attraverso il recupero di determinati valori", dice il regista coreano. Il protagonista, Kang-do (Lee Jung-jin), è lo scagnozzo senza scrupoli di un usuraio: per recuperare i debiti dei poveracci non usa mezze misure, azzoppando e moncando il piccolo operaio o artigiano di turno. Sulla sua strada, però, un giorno troverà la misteriosa Mi-sun (Cho Min-soo), la quale con insistenza lo convincerà di essere quella madre che, 30 anni fa, lo abbandonò dopo averlo messo alla luce: il cammino verso il cambiamento, per Kang-do, è appena iniziato. "Nel film emergono con forza molti elementi, dal perdono alla pietà che dà il titolo all'opera, senza dimenticare ovviamente il denaro: ne volevo condannare l'utilizzo perverso che molto spesso ne viene fatto nella società attuale", spiega ancora Kim Ki-duk, che ha girato e ambientato il film in una zona ormai povera di Seoul, da dove però prese il via il processo che ha portato la Corea ad affermarsi a livello tecnologico: "Ho vissuto lì tra i 15 e i 20 anni, lavorando come operaio - ricorda Kim Ki-duk -, e lì sono nati i primi telefoni cellulari, i nuovi televisori. Oggi il posto esiste ancora ma tra qualche tempo sparirà, sostituito da imponenti grattacieli". Tradizione e presente: "Ogni mia opera si concentra su personaggi differenti, frutto di un'interpretazione personale che faccio nei confronti del mondo. Al mutare delle situazioni, mutano anche i personaggi che racconto", spiega il regista, che sintetizza il confronto tra lo spazio urbano rappresentato e i due protagonisti che lo abitano nel corso del film in questo modo: "Lo spazio è analogico, pieno di storia e con un passato che lo identifica, i due personaggi sono digitali, senza memoria, senza radici".