Pordenone Docs Fest - Le voci dell'inchiesta è giunto alla XV edizione. E continua a privilegiare il meglio del cinema del reale nazionale e internazionale. Riccardo Costantini ne è il curatore.

Costantini, qual è lo stato dell'arte?

Questa edizione arriva a pochi mesi da quella precedente, spostata causa pandemia a novembre. Quindi è stata una vera e propria sfida riuscire a riorganizzare la nuova programmazione. Nel frattempo è scoppiata la guerra in Ucraina e anche questo ha inciso sulle scelte. Complessivamente però la nostra formula è quella di selezionare tra centinaia di film da tutto il mondo e quello che questa posizione privilegiata ci mostra è un mondo in fermento, che sempre più sente l’esigenza di esprimersi con qualcosa che non abbia la fugacità dei social. C’è voglia di sperimentare, di raccontare. E ci sono soprattutto molti giovani che vogliono farlo! La pandemia ha limitato la possibilità di movimento e bloccato produzioni, ma la “leggerezza” dell’attrezzatura spesso necessaria per un doc, rispetto alle grandi produzioni, ha permesso di provare nuove forme di espressione, anche a partire dall’utilizzo creativo dei materiali d’archivio.

E poi c’è Andrei Ujica…

Avere il maestro Andrei Ujica, considerato un riferimento assoluto proprio in questo senso, è per noi un vero onore e un’opportunità che siamo convinti possa essere un vero valore aggiunto, sia per il pubblico, che per i numerosi autori presenti.

La guerra in Ucraina sta mettendo a dura prova sia l'inchiesta che la realtà, ovvero la percezione della realtà: qual è la sua opinione?

La natura stessa del fare cinema, anche documentario, prevede un tempo e una stratificazione di significati, che trascendono l’istantaneità del reportage televisivo e garantiscono invece una riflessione e un’articolazione di senso che, su temi così drammatici, è quanto mai fondamentale. Per la stessa ragione, il festival da sempre lavora su temi ricorrenti – diritti, donne, ambiente – proponendo così al suo pubblico più fedele uno processo simile di sedimentazione e approfondimento.

Oltre la guerra, di che si parla?

Oltre che di guerra, quest’anno, si parla di Cina e Hong Kong, per arrivare ai nostri luoghi, con tematiche legate anche alle contraddizioni del nostro Paese, come per esempio il caporalato. Si parla di fine vita; c’è anche una riflessione sul futuro di Venezia; sul post colonialismo italiano: su un Paese che non rinegozia il proprio passato coloniale e che dunque fa fatica a essere multiculturale… crediamo fermamente che proprio nel confronto, anche tra opere nuove e datate, si possano trovare gli strumenti per leggere meglio l’oggi.

Il ruolo del documentario oggi?

Il documentario è uno degli strumenti più importanti per poter comprendere meglio quello che accade intorno a noi. Come punto di forza ha le immagini, che vengono dalla realtà. Inoltre, rispetto per esempio al contesto televisivo o al web, in cui il flusso di immagini è costante, il documentario fa selezione e lavora su più registri e quindi permette di avere uno sguardo critico, che si può aprire a molteplici punti di vista su un singolo tema e soprattutto può essere rielaborato nel tempo perché sedimenta e può essere rivisto, può essere mostrato in contesti di diverso genere, età, tipologie di pubblico. A mio avviso è probabilmente il genere più efficace per raccontare la modernità.

Come Pordenone Docs Fest contempla la guerra, anzi, le guerre?

Si parla della guerra, con riferimento diretto all’Ucraina con l’omaggio ad Alina Gorlova, che ha dedicato tutta la sua filmografia alla guerra in Donbass; ma si guarda anche alle conseguenze della guerra, come nel magnifico corto del premio Oscar Danis Tanovic, When we were them, o ai suoi potenziali prodromi come in Revolution of our times, che invece mostra le tensioni e le proteste di piazza scoppiate a Hong Kong tra il 2019 e il 2020. Guardando al passato, troviamo Oltre mare, dalla retrospettiva “Non siamo stati italiani brava gente”, che ricorda gli italiani in cerca di fortuna nelle colonie del Belpaese, che tornarono da reietti a causa della guerra; o ne Il Nero, che racconta le storie dei “figli della Madonna”, i ragazzi nati nel secondo dopoguerra dalle relazioni illegittime tra le donne del luogo e i militari afroamericani.  Cito ancora Andrei Ujica, perché mostreremo il suo mitico (firmato con Harun Farocki) Videograms of a revolution, tuttora considerato uno dei 10 film più sovversivi di tutti i tempi da i Cahiérs du Cinèma, che fa ancora tremare i polsi nel raccontare la rivoluzione a Bucarest del 1989.

Il presidente di giuria, illustre, è Hanif Kureishi: perché lui?

Avendo avuto modo di conoscerlo per altri progetti, abbiamo pensato a lui perché incarna uno sguardo meticcio – nel senso più nobile del termine – e multiculturale, che per questa edizione era particolarmente calzante. Incarna l’incontro tra due mondi, tra più culture. Tutti noi ricordiamo i lavori per Stephen Frears, come il candidato all’Oscar My beautiful laundrette, ma anche come lettori lo abbiamo amato per come ha saputo cambiare registri. Eravamo alla ricerca di uno sguardo diverso anche da quello di un regista o un documentarista o un produttore di documentari e lui ci è sembrato assolutamente l’intellettuale perfetto per un punto di vista terzo, originale, competente.

Il cinema, almeno in sala, non sta godendo di ottima salute. E il documentario? Quali spazi?

Il Pordenone Docs Fest ha da sempre un pubblico molto affezionato che lo segue da anni e per noi la sfida è ampliare sempre più questo bacino. Spesso il pubblico viene sottovalutato, così come anche il genere documentario, ma il dialogo con gli spettatori ci mostra un sempre maggiore interesse per questo genere. Non si può negare che le piattaforme abbiamo contribuito a far conoscere il cinema del reale, ma il lavoro “audience oriented” che portiamo avanti, ci lascia sperare e immaginare una lunga vita per questo tipo di cinema.

All’edizione del festival di novembre 2021 ha vinto Be My Voice.

Un potente documentario sull’imposizione del velo in Iran: in 3 mesi abbiamo messo in piedi la distribuzione nazionale del film con la nostra casa di distribuzione, con 35 sale che lo hanno programmato, un tour delle protagoniste (complesso perché sotto scorta, minacciate di morte dal regime islamico iraniano) con continui sold out e con tutti i media nazionali che ne hanno parlato… Un lavoro in continuità, perché il festival non finisce solo con le giornate della kermesse, ma ha ricadute profonde, nel tempo, che fanno del documentario (appunto se “trattato” con le dovute attenzioni) anche un attrattore di pubblico e un veicolo di cambiamento sociale.

A che cosa serve, in questi tempi bellici e (post) pandemici, un festival come Pordenone doc?Il festival è molto cresciuto negli anni ed è diventato una delle principali vetrine a livello nazionale per il documentario. Utilizza lo strumento del cinema del reale per parlare dell’attualità, di noi, dell’oggi, delle contraddizioni del presente. Si offre come strumento per azioni sociali, toccando temi ecologici, temi legati ai diritti civili, cercando anche di dare delle chiavi di lettura sulla più stringente attualità. Portando principalmente film in anteprima nazionale, fa un importante lavoro di selezione tra centinaia di film dai più prestigiosi festival internazionali che poi – ed è questo l’altro grosso impegno che il festival porta avanti al di là dei giorni della manifestazione – spesso, dopo essere stati mostrati a Pordenone, hanno distribuzione nazionale, vengono acquisiti da emittenti televisive. Questo permette ai film di avere vita lunga, in un mercato distributivo complicato per il documentario, allargando così il pubblico.

Novità?

Quest'anno lanciamo un nuovo progetto di tutoraggio per film/documentari in corso di sviluppo. Il Festival da molto tempo intercetta progetti di documentario di spessore internazionale su cui viene richiesta una consulenza specifica. Ora si vuol far diventare questa pratica sempre più una prassi, organizzata in maniera tale che il Festival diventi un momento cardine all'interno del panorama non solo nazionale, ma europeo, soprattutto per lo sviluppo di progetti particolarmente qualitativi di cinema del reale.