Dal Galles all'Indonesia, con furore. E' Serbuan Maut (The Raid), diretto dal regista gallese e indonesiano d'adozione Gareth Huw Evans, in Concorso al 29° TFF. A Giacarta una squadra Swat dà l'assalto a un palazzo covo di una potente gang, guidata da Tama (Ray Sahetapy), un signore della droga: la missione è suicida, viziata da un capitano corrotto, ma per l'indomito Rama (Iko Uwais) la speranza è l'ultima a morire… E giù botte, anzi, arti marziali, a riempire di action fino al parossismo - per alcuni, noia - corridoi e scale. Trappola di cristallo, pardon, di cemento, buona per ingabbiare violenza esasperata, humour nero (usare pistole o coltelli è “come prendere il cibo take-away”, meglio le mani nude) e adrenalina senza freni, lasciando spazio a una morale generica, con due fratelli-coltelli ma non troppo, le gerarchie corrotte e l'istinto di sopravvivenza. Al netto del solito (il soggetto non è inedito) e dell'insistito (le botte), The Raid conquista applausi, mandando il Concorso su di giri, perché - senza esagerare - il genere può essere d'autore.
Fuori competizione, viceversa, non delude nemmeno Terri di Azazel - figlio di Ken - Jacobs, un coming of age condensato in pochi giorni, quelli di un ciccione adolescente,Terri (Jacob Wysocki), abbandonato dai genitori, deriso dai compagni di liceo e con uno zio malato sulle spalle. Caccia topi per sfamare un falco, va in giro in pigiama, ma grazie a un eterodosso vicepreside (John C. Reilly, super d'abitudine) riesce a darsi una scossa, incrociando i destini di altre due pecore nere della scuola, lo svitato Chad e la bella e fragile Heather. Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole, ma il tepore stile Sundance si fa sentire,illuminando marginalità ed educazione, “mostri” e barlumi di speranza, con un occhio a Cyrus e altri due puntati sull'eterna rivincita dei nerd.
Si parla invece di cose di casa nostra con Il sorriso del capo di Marco Bechis, documentario di montaggio - l'inestimabile archivio Luce, tra cinegiornali e film - sull'educazione fascista del Bel (sic) Paese: propaganda, vita quotidiana, il Duce al balcone col sorriso di chi ti sta fregando e una voce narrante, celata fino alla fine. E' il padre del regista, Riccardo, che smorza il sorriso e apre alla memoria critica: documentario - targato Cinecittà Luce - e documento necessario, perfino urgente, per parlare di altre derive socio-politiche, per dire di noi, con un occhio all'uomo che verrà. Perché, come nell'omonimo film di Giorgio Diritti su Marzabotto-Montesole, la realtà è la stessa: “Noi siamo la nostra educazione”. Così parlò un nazista, l'Italia fascista (e non solo) avrebbe sottoscritto.