Sale affollate ovunque. Per ora il 12,5 per cento in più delle presenze, quindi in controtendenza con i dati del boxoffice che a settembre registravano una flessione del 7 %, e con l'ultima edizione di Roma. Come Berlino, Torino ha una grande tradizione culturale, un serbatoio d'idee e spettatori curiosi: non solo giovani ad attendere ore per un biglietto, bensì persone di tutte le età. Accade per le anteprime (Holy Motors di Leos Carax, No di Pablo Larrain, Ruby Sparks di Jonathan Dayton e Valerie Faris), per il concorso (segnaliamo il turco Present Tense e l'opera colossale Su re di Giovanni Columbu con i Vangeli in sardo). La bella sorpresa, la ciliegina sulla torta del 30° compleanno del Festival, è però la rassegna dedicata a Joseph Losey, a cura di Emanuela Martini. Al TFF ci sono sempre omaggi e retrospettive di altissimo livello, seguite da cinefili e non, ma quest'anno l'affluenza sembra di fatto aumentare giorno dopo giorno, e non risentire invece dell'effetto weekend. Le file sono lunghe, non per la disorganizzazione del festival, come ha scritto qualcuno, e a dispetto della pioggia. Va detto che l'offerta vale l'attesa, i titoli presentati vengono da tutto il mondo, e anche se le copie non sono in ottimo stato, è un'occasione unica per (ri)scoprire un grande regista, nato in America e costretto dal maccartismo a trasferirsi a Londra, che amava il teatro, si era laureato ad Harvard e aveva seguito Eisenstein in Russia.
Più di trenta film, da Messaggero d'amore (1971) con Alan Bates in forma strepitosa (a rivederlo oggi viene in mente Daniel Day-Lewis nel Petroliere), la seducente Julie Christie e la gelida sceneggiatura di Harold Pinter ai più famosi Giungla di cemento (The Criminal, 1960), tesissimo, fotografato magnificamente in bianco e nero e interpretato dal bravissimo Stanley Baker (L'inchiesta dell'ispettore Morgan è il primo dell'accoppiata Losey- Baker). Al disperato e spietato (il meno compreso dei suoi film, dice Morandini) L'incidente (1967), una sceneggiatura perfettamente circolare ancora di Pinter, gli amici rivali Bogarde e Baker e la “preda” indecifrabile Jacqueline Sassard. Chiudiamo con un assaggio di Caccia sadica, 1970. In una terra di nessuno due uomini corrono braccati da un elicottero e poi da un esercito di soldati. Non si sa chi siano, né da chi scappino. Sono figure che si muovono in paesaggi brutali e desolati (il titolo originale è Figures in Landscape). Un'avventura metafisica piena di suspense, che sembra non finire mai. Del resto è l'ambiguità la cifra stilistica di Losey: i miei film, ripeteva, non devono dare risposte. “Possono rappresentare le nostre vite, turbare o provocare riflessioni personali”. Niente di più di questo.