"Il regista è il custode del senso ultimo del film. Come ogni autentica opera d'arte ci ha regalato l'eternità: è un film per tutti i tempi, per tutti i secoli. Un film che ragiona su come sia senza senso tentare di ricostruire una civiltà ma allo stesso tempo che sia impossibile smettere di provarci". A parlare è Leonid Yarmolnik, protagonista di E' difficile essere un Dio, opera postuma del grande regista russo Aleksej Yuryevich German, che oggi sarà presentata in anteprima mondiale (Fuori Concorso) al Festival di Roma. Dove sarà anche consegnato il Premio alla carriera 2013 ai familiari del cineasta, scomparso nel febbraio di quest'anno. A ritirare il riconoscimento saranno Svetlana Karmalita, vedova del regista, complice di tutti i suoi progetti più personali e sceneggiatrice dei due ultimi film del maestro, insieme al figlio Aleksej A. German, capofila del rinnovamento del cinema russo contemporaneo (Leone d'argento a Venezia 2008 per Soldato di carta). "Aleksej Yuryevich German è un regista che ci ha costretto ogni volta a riconsiderare il modo in cui guardare un film: in sei opere ha esplorato ogni volta un territorio nuovo, sempre in bilico tra realtà e sogno", dice il direttore del Festival Marco Müller, che aggiunge: "Questa opera postuma era il film che tutti aspettavamo". Tratto dal romanzo omonimo dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij, pubblicato nel 1964, E' difficile essere un Dio (che ha avuto un processo di lavorazione lungo 15 anni) racconta la storia di alcuni scienziati inviati sul pianeta Arkanar per aiutare la popolazione locale che sta vivendo una fase storica equivalente al nostro medioevo, in cui sono stati messi al bando non solo gli intellettuali, ma anche chi sa semplicemente leggere e scrivere. Ai protagonisti, che operano in incognito, è stato vietato di influenzare le vicende politiche e storiche del pianeta restando neutrali. Tuttavia, il protagonista, Don Rumata (Leonid Yarmolnik), cerca di salvare dalla gogna gli intellettuali locali e non può evitare di schierarsi: “Che cosa faresti al posto di Dio?”.
"Il lavoro sul film è iniziato il 1 febbraio 1999, le riprese nel marzo del 2000 e sono terminate nell'agosto del 2006. German iniziò a girare quando la salute era già indebolita e la malattia peggiorò durante la lavorazione: ci abbiamo messo davvero l'anima in questo film, lui anche in senso letterale", dice Viktor Izvekov, uno dei produttori. "L'idea di fare un film tratto dal romanzo dei fratelli Strugackij ci venne all'indomani dell'invasione sovietica in Cecoslovacchia, ma ci dissero senza mezzi termini di non sognare neanche lontanamente di provarci", racconta Svetlana Karmalita, moglie di German e sceneggiatrice del film: "Ma quel sogno ci ha accompagnati per anni e dopo Chrustalev, la macchina! (1998, ndr) Aleksej ha deciso che fosse giunto il momento di farlo".
Un'opera dalla lavorazione complessa, come detto, aggravata dalle condizioni di salute del regista: "Ho assistito alle riprese solamente un paio di volte - racconta Aleksej German Jr. - ma si percepivano gli enormi sforzi, la fatica. Era come vedere uno sportivo al culmine della sofferenza durante una gara di resitenza, ma mi sorprendevo delle continue riflessioni che faceva mio padre sul modo di realizzare il film. L'impressione era quella di guardare Lev Tolstoj mentre scriveva Guerra e pace". Realizzato in bianco e nero e lungo 170', E' difficile essere un Dio segna forse un nuovo capitolo nella storia della settima arte: "Mio padre era posseduto dall'essenza del cinema e credo che la cosa più importante sia il linguaggio attraverso cui un artista si esprime, il modo in cui inventa, crea. Questa è un'opera priva di compromessi - dice ancora German Jr. - che sfida le forme canoniche del cinema stesso e che è qui a ricordarci che un cinema così forte è sempre possibile".