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"Ho utilizzato l'arte per poter raccontare qualcosa di diverso come strumento sociale e socializzante e di formazione etica. Volevo dare un contributo e ho scelto l'occhio come simbolo del mio percorso artistico fin dall'inizio per raccontare un modo diverso di vedere le cose fuori dagli schemi concettuali abituali".
A parlare è Annalaura di Luggo, artista napoletana, che ha realizzato quattro monumentali sculture in alluminio riciclato da installare nei luoghi più significativi della città di Napoli come simbolo di rinascita e di riscatto.
La necessità di un confronto con la città e con la sua stratificazione sono l'input da cui nasce il suo progetto artistico e questo doc, diretto da Bruno Colella, dal titolo Napoli Eden, volto a sensibilizzare, attraverso il linguaggio dell'arte, l'importanza della tutela dell'ambiente e l'inclusione sociale. Così, un colorato manipolo di "scugnizzi" dei quartieri spagnoli si troverà coinvolto dalla protagonista nella costruzione di uno stupefacente albero fatto di scarti in alluminio e lo stesso materiale si trasformerà in alcune sculture che appariranno magicamente nella storia.
"Anche io sono uno scugnizzo nei panni di una donna- prosegue Annalaura di Luggo-. Napoli ce l'ho nel sangue. E' una città spontanea, aperta, tutti se ne innamorano. E qui ho deciso di raccontarla in modo non stereotipato".


Nella sua opera utilizza l'alluminio "un materiale che è simbolo dell'economia circolare perché si ricicla completamente" e costruisce quest'albero gigante: "simbolo di aggregazione e di unione e anche un simbolo ecologico".
Il suo è un percorso artistico che è prima di tutto "un percorso spirituale": "Vado alla ricerca costante di cose inesplorate. Ho anche brevettato una macchina fotografica per poter fotografare l'occhio. E da lì è iniziata questa esplorazione dell'essere umano: dalle star di Hollywood alle persone per strada facevo domande sui sentimenti e sul proprio mondo interiore.
In seguito sono nati una serie di lavori collettivi come quello nel carcere minorile di Nisida nel quale ho voluto esplorare gli occhi dei detenuti in carcere con Never Give Up, un progetto teso a fare capire ai ragazzi di non mollare mai perché c'è sempre una seconda possibilità. Poi ho fatto un lavoro per la fondazione Kennedy sui diritti umani. Infine Blind Vision, un lavoro in cui questi occhi diventano una luce inclusiva per noi e per la collettività, e Genesis per la 58esima Biennale di Venezia".
Poi racconta: "Questo doc è nato con grande spontaneità. Spesso mi sento incompresa perché parto sempre con delle idee strampalate e anche mio marito mi guarda come se fossi un marziano. Nei quartieri di Napoli mi guardavano come una pazza. Ma sono contenta perché sono riuscita a rendere accessibili a tutti dei concetti anche complessi. Alla fine i ragazzi dei quartieri spagnoli mi chiamavano la quartierana e mi hanno fatto sentire come una di loro. Insomma ne è uscita fuori una comunità armonica proiettata verso quel famoso Eden che volevo".

