Nel 1929 morì Sergei Diaghilev dopo aver segnato nella storia della danza, con la creazione e la direzione dei Ballets Russes, una delle svolte fondamentali per tutto il teatro successivo. George Balanchine, russo anche lui e già affermato coreografo, lo aveva raggiunto a Parigi per diventare una delle pietre miliari della famosa compagnia. Proprio negli ultimi tre anni della loro collaborazione Balanchine compose per Diaghilev tre balletti dotati di forte carica innovativa, frutto di una complessa elaborazione che ne ha reso molto rara la messinscena. Il miracolo di vederli riuniti in un unico "Gala Balanchine" è ora del Teatro dell'Opera di Roma. Al Costanzi, in sequenza rigorosamente cronologica, sono andati in scena La chatte del 1927 su musica di Henri Sauguet, Apollon Musagète, nato nel 1928 congiuntamente alla splendida partitura di Stravinskij, e infine Le bal concepito nel '29 per l'Opéra di Montecarlo con la musica di Vittorio Rieti e le scene di Giorgio De Chirico.
L'eccezionalità della ripresa da parte della Fondazione lirica romana - all'interno di un "mese della danza" che ha l'importanza di un festival - è nella fedeltà filologica all'invenzione di Balanchine, grazie all'opera scientificamente egregia di due notissimi "ricostruttori", Millicent Hodson e Kenneth Archer. Per merito loro e di Beppe Menegatti che ha fortemente voluto questo spettacolo, tornano per la prima volta dall'esordio La chatte e Le bal rivelandoci in Sauguet e Rieti compositori di notevole levatura, e nel percorso coreografico di Balanchine un momento straordinario nel "vestire" la musica con forme che piegano la grande accademia pietroburghese agli strappi del surrealismo. Una danza fortemente caratterizzata, favorita dalle idee nuove di Diaghilev, e nella quale gli artisti del Corpo di ballo diretto da Carla Fracci, rafforzato da presenze ospiti, hanno mostrato uno stato di grazia nella duttilità dello stile. In Apollon Musagète hanno saputo darci quel clima di sublime astrazione su cui si fondò il neoclassicismo e la gloria di Balanchine come "poeta della danza". coreografo per il geniale impresario dei Ballets Russes

Nel 1929 morì Sergei Diaghilev dopo aver segnato nella storia della danza, con la creazione e la direzione dei Ballets Russes, una delle svolte fondamentali per tutto il teatro successivo. George Balanchine, russo anche lui e già affermato coreografo, lo aveva raggiunto a Parigi per diventare una delle pietre miliari della famosa compagnia. Proprio negli ultimi tre anni della loro collaborazione Balanchine compose per Diaghilev tre balletti dotati di forte carica innovativa, frutto di una complessa elaborazione che ne ha reso molto rara la messinscena. Il miracolo di vederli riuniti in un unico "Gala Balanchine" è ora del Teatro dell'Opera di Roma. Al Costanzi, in sequenza rigorosamente cronologica, sono andati in scena La chatte del 1927 su musica di Henri Sauguet, Apollon Musagète, nato nel 1928 congiuntamente alla splendida partitura di Stravinskij, e infine Le bal concepito nel '29 per l'Opéra di Montecarlo con la musica di Vittorio Rieti e le scene di Giorgio De Chirico.
L'eccezionalità della ripresa da parte della Fondazione lirica romana - all'interno di un "mese della danza" che ha l'importanza di un festival - è nella fedeltà filologica all'invenzione di Balanchine, grazie all'opera scientificamente egregia di due notissimi "ricostruttori", Millicent Hodson e Kenneth Archer. Per merito loro e di Beppe Menegatti che ha fortemente voluto questo spettacolo, tornano per la prima volta dall'esordio La chatte e Le bal rivelandoci in Sauguet e Rieti compositori di notevole levatura, e nel percorso coreografico di Balanchine un momento straordinario nel "vestire" la musica con forme che piegano la grande accademia pietroburghese agli strappi del surrealismo. Una danza fortemente caratterizzata, favorita dalle idee nuove di Diaghilev, e nella quale gli artisti del Corpo di ballo diretto da Carla Fracci, rafforzato da presenze ospiti, hanno mostrato uno stato di grazia nella duttilità dello stile. In Apollon Musagète hanno saputo darci quel clima di sublime astrazione su cui si fondò il neoclassicismo e la gloria di Balanchine come "poeta della danza".