"Parliamone almeno un po". In questo invito la chiave interpretativa dell'applauditissimo film del regista russo Nikita Mikhalkov, in concorso alla 64esima edizione della mostra cinematografica di Venezia con 12, remake della pellicola di Sidney Lumet, La parola ai giurati. "Parliamone", è in particolare, l'invito che uno dei 12 giurati, chiusi in una stanza a chiamati a decidere la sorte di un giovane ceceno accusato di avere ucciso il padre adottivo, e sul quale caso gia' il pubblico ministero si e' espresso in termini di colpevolezza, rivolge agli altri 11. Una lezione di "democrazia" nella Russia di oggi, intesa dal regista come invito alla scelta personale, al libero arbitrio, all'esercizio della libertà che è tale solo in quanto e quando coincide con quella degli altri. E a chi domanda a Mikhalkov quale consiglio vorrebbe dare al presidente russo Vladimir Putin: "Andare a vedere il film" risponde. A rappresentare e simboleggiare la necessità di esercizio della libertà un 13esimo personaggio del film, un passerotto che si trova rinchiuso nella stanza e che "viene mandato - spiega il regista - per evitare che venga commessa un'ingiustizia, che si fa seguire dallo sguardo dei giurati e che rappresenta l'innocenza e l'ingenuita' del bambino. E' a lui che si rivolge l'eroe della storia Sergej, invitandolo scegliere per se stesso nell'ultima scena: uscire dalla stanza ed essere libero o rimanere imprigionato". E proprio in questo "scegli tu" si legge l'invito alla democratiza "quella che vive - chiarisce Mikhalkov - all'interno di ognuno di noi e che esiste quando la liberta' personale puo' combaciare con quella degli altri".
Al centro della scena 12 giurati di diversa estrazione sociale e con percorsi di vita differenti che devono emettere un verdetto di innocenza o colpevolezza nei confronti di un giovane ceceno accusato di omicidio di primo grado per l'assassinio del patrigno, un ex ufficiale di Spetsnaz, coinvolto nelle operazioni in Cecenia. Nell'ottica di ciascuno non c'è nulla di cui discutere apparentemente dal momento che gli inquirenti hanno già giudicato il ragazzo colpevole. Ma uno di loro apre al dialogo, invita a parlarne.
Di fronte alla impassibilità e alla ineluttabilità di scelte che altri compiono per noi, iniziano ad emergere i rifiuti personali e la vicenda del giovane viene interpretata e letta sotto una nuova luce e, alla fine quallo che doveva essere un giudizio precostituito, viene completamente ribaltato: per i giurati il giovane è innocente. Il regista non guarda tanto agli aspetti legali della vicenda. Piuttosto ai risvolti psicologici di ognuno dei protagonisti. Invita a cercare di comprendere quelle proprie ragioni, il proprio cuore e la propria testa e a non lasciarsi condizionare o, peggio, a permettere che siano altri a compiere le nostre scelte. Una riscoperta dell'Umanesimo in una Russia che il regista dipinge in eterno conflitto, simboleggiato dal confronto aspro tra i giurati che trascende il contingente e avvia una ricerca su chi siamo in realta. 
In questo contesto il conflitto con la Cecenia è soltanto "un contrappunto, serve a capire -spiega il regista - se e' colui che i giurati stanno giudicando. La tragedia cecena non e' un impulso speculativo per il film, ma solo un contrappunto". Un film che Mikhalkov non esita a definire "molto importante per la Russia e nato dall'impulso, dal desiderio di vedere un gruppo di persone riunite ad affrontare il problema di uno sconosciuto. Non è la guerra cecena ad avere importanza, ma la vita delle persone, degli altri rispetto a cui ormai c'è disinteresse". "Quante volte si domanda "come stai" ma non si ascolta la risposta?" domanda il regista osservando che "quando davvero avremo bisogno di qualcuno che ci ascolti troveremo dall'altra parte una persona impermeabile a noi". Un film lungo, 153 minuti, e Mikhalkov chiarisce: "Non ho bisogno di accorciarlo, non perchè è un film ideale, ma perchè mi aspetto che quando una persona parla chi lo ascolta spenda del tempo ad ascoltare. Così lo spettatore deve spendere tempo e energia. Solo così egli collabora al film". Anche nella pellicola le pause dei giurati che ascoltano sono importantissime. Sono una moltiplicazione dell'energia. Mikhalkov, poi, insiste sull'importanza di "nutrirci delle nostre radici" e lancia un allarme contro l'omologazione al "McDonald's e alla continental breekfast da Sheraton Hotel: non ha senso. Quando sono in Italia mi piacciono gli spaghetti e in Giappone il sushi" chiarisce con una metafora e ricordando che "solo così quello che è nazionale può diventare internazionale. I nostri film non piacciono perchè copiamo l'America e a me non interesserebbe affatto una Anna Karenina come la farebbero gli americani".