“La domanda è: si può parlare di vero amore nella condizione in cui si viveva ad Auschwitz? Di libero arbitrio?”. Ecco gli interrogativi che si è posta la regista israeliana Maya Sarfaty quando ha deciso di raccontare la tragica storia d’amore tra Helena Citron, un’ebrea deportata ad Auschwitz, e Franz Wunsch, un ufficiale nazista. Una relazione, portata avanti fino alla fine della guerra e con il rischio di essere scoperti, che ci viene raccontata in Se questo è amore, docufilm disponibile dal 27 gennaio, la Giornata della Memoria, sulle principale piattaforme Tvod distribuito da Wanted Cinema.

Esplicito già dal titolo il riferimento all’opera di Primo Levi Se questo è un uomo: “Nella versione italiana mi hanno suggerito di intitolarlo in questo modo. Mi piace molto. Quello originale invece ricalca le parole della canzone tedesca dei primi anni trenta che accompagna tutto il film: Liebe war es nie, cioè non è mai stato amore. È infatti da quella canzone che ha inizio l'incanto dell'ufficiale nazista per la ragazza ebrea”.

La regista di Se questo è amore Maya Sarfaty

Con la sua bella voce Helena nel marzo del 1942 fece innamorare Franz. Un amore che protesse sia lei che sua sorella Rožinka dalla morte e dagli orrori del lager. L’ufficiale salvò la vita ad entrambe, ma gli fu impossibile sottrarre alla morte i due figli di Rožinka che vennero gassati. Trent’anni dopo, nel 1972, Franz Wunsch fu imputato per i crimini compiuti durante l’Olocausto nel secondo processo di Francoforte tenutosi a Vienna. E la stessa Helena ricevette una lettera dalla moglie di Wunsch, nella quale le veniva chiesto di testimoniare in favore del marito. Di fronte a questa decisione così eticamente drammatica, Helena si trovò a compiere una scelta molto difficile, se aiutare o meno l’uomo che nel campo di concentramento si era macchiato di crimini spaventosi, salvando però la sua vita e quella dei suoi cari.

“Helena e Franz hanno vissuto questa storia d’amore in modo diverso- racconta-. Per Helena in nessun modo dopo la guerra sarebbero potuti stare insieme, viceversa Franz la vedeva nel modo opposto. Parlerei più di gratitudine che di vero amore da parte di lei verso di lui. Lui invece l’ha amata e ha salvato sia lei che sua sorella. Con questo non voglio dire che sia stato un salvatore, resta un colpevole”.

Helena Citron

Toccare la Shoah è sempre qualcosa di molto delicato e qui si racconta anche un nazista che non è poi così cattivo. Ha avuto problemi con la comunità ebraica? “No assolutamente”, risponde Maya Sarfaty, che poi precisa: “Ho avuto problemi con il pubblico austriaco e questo è collegato al modo in cui l’Austria reagisce al suo ricordo del passato e della seconda guerra mondiale. Franz era un essere umano e in quanto tale era ambivalente. D’altronde gli atti che sono stati perpetuati non sono stati compiuti da mostri, ma da esseri umani”.

Originato dal cortometraggio The Most Beautiful Woman del 2016, con il quale la regista vinse lo Student Academy Award, questo doc è frutto di un lavoro durato cinque anni.

Come è venuta a conoscenza di questa storia d’amore? “La conosco da quando sono bambina. Avevo provato a scriverla in vari modi nel corso degli anni, ma avevo la sensazione che le mie parole non riuscissero a darne completezza. Finché ho contattato Dagma, la figlia di Franz, una persona molto aperta che mi ha consentito di accedere ai diari privati del padre. Lì finalmente mi sono sentita di avere i mezzi per raccontare questa storia nella sua interezza e nel giusto spirito”.

Infine conclude: “Per fortuna la mia famiglia non ha storie legate all’Olocausto. L’Olocausto è una parte molto importante dell’identità israeliana. Fin da quando andiamo a scuola lo studiamo e sentiamo le testimonianze di chi lo ha vissuto. Storie che fin da quando sono bambina mi hanno profondamente toccata. E questa, da me raccontata in questo doc, mi ha davvero colpita”.

Tra l’altro è stato annunciato che sono già stati comprati i diritti di questo documentario per un film di prossima realizzazione.