"Siamo tutti colpevoli, ma per me è confortante, liberatorio, come dire: mal comune, mezzo gaudio". Parola del regista basco Alex de la Iglesia, che porta in sala l'11 aprile il mistery-thriller Oxford Murders - Teorema di un delitto, distribuito da Warner Bros. in un centinaio di copie. Protagonisti, Arthur Seldom (John Hurt), prestigioso professore di Logica, e Martin (Elijah Wood), studente americano approdato all'università di Oxford per seguire il dottorato con Seldom: entrambi saranno coinvolti in una serie di "impercettibili delitti", accompagnati da messaggi in una sequenza logica che dovrà essere decifrata dai due. Tratto dal romanzo La serie di Oxford di Guillermo Martinez, Oxford Murders non ha il proverbiale humour del regista spagnolo: "Si trattava di adattare il libro, usare lo humour ne avrebbe alterato il senso. Di solito, - dice Alex de la Iglesia - faccio genere con un punto di vista eccentrico: viceversa, qui siamo stati fedeli al genere, un esperimento che ci ha divertito, ma non escludo di tornare alle commedie di black humour nero". Definizione che al regista non piace perché pleonastica: "Lo humour è sempre nero, come diceva il compianto Rafael Azcona: Cary Grant e Katharine Hepburn in Scandalo a Filadelfia è iperuranio, mentre la vita è sempre nera". Humour a parte, Oxford Murders non è un corpo estraneo nella filmografia del regista de La comunidad: "I personaggi sono simili a quelli di sempre, come il professore che conosce minuziosamente una sola porzione della realtà. Anche il tradimento, l'inganno sono costanti: cambia solo il punto di vista". Anche l'interesse principale di de la Iglesia non è mutato: "Il gioco: generalmente è il regista che gioca, si diverte e spera di far divertire. Qui è come un gioco da tavolo, lo spettatore ha un ruolo attivo, deve giocare, solo così funziona. Oxford come una scacchiera, e lo spettatore deve scoprire chi mente: tutti i personaggi mentono, fingono ciò che non sono". Ad aprire il film, e a "ispirarlo", è il filosofo Ludwig Wittgenstein, impegnato a scrivere il suo celebre Tractatus Logico-Philosophicus sotto le bombe della prima Guerra Mondiale: "Sono riuscito a leggerne solo l'inizio e la fine, e un compendio quando studiavo filosofia: la frase iniziale "Il mondo è ciò che avviene" già mi tiene occupato per un mese, e pure il finale, "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere", avrei dovuto seguirlo alla lettera e invece, nella mia infinita superbia, mi sono permesso di fare un film su una cosa che non conosco per niente. Ho sempre voluto fare le cose che sapevo di non saper fare. E ciò conferisce una certa innocenza ai miei film". Sulla stessa lunghezza d'onda, il co-sceneggiatore Jorge Guerricaechevarria, fedele collaboratore di de la Iglesia: "Wittgenstein ci ha sempre affascinato: ha scritto la sua opera massima scritta durante il conflitto bellico, e questo dovrebbe afr pensare tutti noi che troviamo difficile scrivere in circostanze decisamente meno ostiche. Wittgenstein per un anno è stato a scuola con Hitler: se ci sono produttori interessati a fare un film su questi due bambini si faccia avanti...". Poi lo sceneggiatore illumina sul significato di Oxford Murders: "Il tema è "possiamo conoscere la verità?". Dal romanzo, abbiamo spostato l'equilibrio più sulla filosofia che la matematica: è un thriller pulito, astratto, senza tutte le atrocità medico-legali dei serial-tv".