"Un requiem per l'America? Forse. Di sicuro questo film vuole provocare il pubblico, indurlo a reazioni forti. Le stesse che ho avuto io quando ho deciso di realizzarlo". Così Terry Gilliam, nome di punta dei Monthy Python, acclamato artefice di Brazil, iconoclasta, visionario e ora regista di Tideland, film che il 31 ottobre arriverà nelle nostre sale in 25 copie. Opera contrassegnata da innumerevoli vicissitudini produttive, salita alla ribalta grazie al FIPRESCI conferitogli a san Sebastian, qui da noi sarà distribuita da officine Ubu, evoluzione della Ubu film di Franco Zuliani, attiva anche nella piccola produzione. Filosofia: pochi progetti, ma buoni. "Quel tipo di società con cui mi trovo meglio: penuria di soldi e tanta creatività", spiega Gilliam. L'ultimo lavoro del regista americano conferma la sua predilezione per i mondi paralleli, le "Tidelands" dell'immaginazione e del sogno, universi fantasma dove Gilliam può meglio liberare le sue visioni. Scenari nazi-futuristici (Brazil), fantasie antro-pocalittiche (L'esercito delle 12 scimmie), deliri tossicologici (Paura e delirio a Las Vegas) e ora il mondo reinventato dalla spiccata immaginazione di una bambina sola e abbandonata nella più archetipica delle case della fattoria, orfana di entrambi i genitori eroinomani, assediata da vicini a dir poco inquietanti: "Tideland è in linea con un cinema che si sforza di reinterpretare il mondo con occhi diversi - conferma Gilliam -. Mi ha sempre affascinato la visione distorta dei bambini. E' una qualità che perdiamo negli anni. Io per fortuna la ritrovo quando faccio un film". Come in altri lavori di Gilliam, anche qui la matrice è letteraria: "Il romanzo di Mitch Cullin era fottutamente divertente, toccante e disturbante nello stesso tempo. Mi affascinava l'idea di contrastare l'immagine veicolata dai media riguardo ai bambini. Vengono ritratti solo come vittime indifese dai giornali e dalle televisioni, mentre sono convinto che siano pieni di risorse, capaci di prendere in mano le situazioni e cavarsela da ogni tipo d'impiccio". Cosa è cambiato del romanzo in sede di trasposizione? "Poco. Abbiamo cercato di rimanere il più fedeli possibile. Così se il film non fosse piaciuto avremmo potuto dare la colpa al libro - scherza Gilliam -. Rispetto al lavoro di Cullin abbiamo aggiunto più riferimenti ad Alice nel Paese delle meraviglie. Siamo intervenuti poi sulla voce narrante. Il romanzo è in prima persona, è la bambina che racconta, nel film abbiamo optato invece per la terza persona. Cinematograficamente funzionava di più: se a raccontare fosse stata lei, lo spettatore avrebbe saputo fin dall'inizio che sarebbe sopravvissuta alle tante disavventure. Così lo lasciamo invece in uno stato d'incertezza riguardo alla sua sorte". Ricco, ma non è una novità nel pedigree di questo autore, il lavoro sulla fotografia: "Da un punto di vista iconografico ci siamo accostati a Tideland come se fosse un western: il quadro predominante è quello di un orizzonte piatto in cui si muovono acune figurine. Il nostro modello è stato Christina's World, un famoso dipinto di Andrew Wyeth di una casa di legno in lontananza e una ragazzina che sembra trascinarsi verso di lei. Nicola (Pecorini, il direttore della fotografia, ndr) lo ha reso se possibile ancora più bello, infondendogli un calore umano sconosciuto al suo referente pittorico". Gran parte del film si regge sull'interpretazione straordinaria di Jodelle Ferland: "La cosa pericolosa per la realizzazione di questo film era che una ragazzina di dieci anni è presente in ogni scena, lei è il film. Dopo più di 400 provini non avevamo ancora nessuna per il ruolo della protagonista. Poi si è presentata Jodelle, che aveva già fatto qualcosa come 25 film per la televisione. Un colpo di fortuna. E' stata strordinaria. Il bello è che non eravamo noi a dirle cosa e come fare, lo faceva da sola, partecipando attivamente alla costruzione del film. Incredibile". A completare il cast, tra gli altri, Jeff Bridges nella parte del padre tossicomane ("Quel ruolo era fatto per lui, non c'è mai stato nessun altro", confessa Gilliam), Janet Mcteer in quello della vicina dalle abitudini necrofile ("una strana, scioccante figura femminile" la definisce il regista) e Brendan Fletcher in quella di Dickens, l'amico cerebroleso della protagonista ("Brendan ha reso il suo personaggio completamente credibile, e dire che il rischio caricatura era dietro l'angolo"). In futuro invece Gilliam spera di poter lavorare di nuovo con il suo attore prediletto, Johnny Depp: "Con Johnny mi trovo benissimo. Lui è abbastanza "tappo" da farmi sembrare più alto di quanto sia, e discretamente brutto da farmi sentire bello", ironizza. Per Depp è pronto da anni il ruolo di Don Chisciotte nel film mai realizzato da Gilliam, The man who killed Don Quixote, le cui traversie realizzative sono state raccontate dal regista nel documentario Lost in La Mancha: "prima o poi lo farò", promette lui. Per adesso c'è in cantiere L'immaginario del Dr. Parnassus, con Heath Ledger, Christopher Plummer e Tom Waits tra i protagonisti. Una favola ottocentesca che vede un impresario di una compagnia di giro catturare i sogni dei suoi spettatori. Una tipica storia alla Gilliam insomma: "Il vostro è un eccesso di analisi - si schermisce lui -. Non seguo nessuna traiettoria prestabilita invece. Faccio i film che mi piacciono. Questo è tutto".