Il melodramma non è morto, si è solo "travestito di altri generi": lo assicura Maurizio Porro, critico del Corriere della Sera e relatore della prima lezione di cinema organizzata dall'Alba International Film Festival, dal titolo Mélo: lo spazio delle passioni. Un tema molto adeguato al filo conduttore di questa edizione della rassegna - incentrata sugli impeti che animano l'esistenza umana - ma in realtà inerente alla natura stessa del cinema, portato per definizione, come spiega Porro "all"eccesso, ad aggiungere qualcosa alla semplice ripresa della vita". E il melodramma, nato in ambito musicale e oggi recuperato dalla fiction televisiva, non fa che accentuare questo carattere della settima arte, definendo "un modo di sentire, di far sentire, di raccontare i rapporti interpersonali rendendoli più emozionanti". Lungi da essere solo "cinema per signore", questo genere - fiorito negli Stati Uniti all'ombra della Seconda Guerra Mondiale - conserva poi non solo una valenza di grande indagatore dei sentimenti umani, ma anche di specchio dei tempi e delle società da cui è stato prodotto. Da Eva contro Eva a Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, Porro ha messo in luce come le varie declinazioni del mélo corrispondano ad altrettante auto-rappresentazioni culturali, tanto perbenista e alto-borghese quella del cinema americano quanto proletaria e violenta la meno edulcorata versione neorealista. Ma se il melodramma è tanto vicino alla sfera intramontabile della passione e del sentire umano, come mai ha conosciuto un tale declino? Porro non ha dubbi: "come tutti i generi, compreso il cinema di denuncia, è stato fagocitato dalla tv". Ma nonostante la quantità di eroine dagli amori tormentati e travolgenti, "la fiction non può essere considerata alla stregua dei film", di cui difficilmente riesce a ricalcare la qualità. "Se quelle fatte bene fossero di più, forse il mélo potrebbe trarne il vantaggio di rivolgersi a un pubblico più ampio di quello del cinema", che tra in Italia soffre di un appianamento su qualcosa "che non può nemmeno essere definito commedia", bensì "comicità, volgare e grossolana".