“L’idea è nata circa tre anni fa: volevo fare un film storico, qualcosa di mai trattato dal punto di vista tematico e che affrontasse una storia che è alla base della nostra civiltà. Quel mito aveva degli elementi che potevano parlarci dell’oggi e che potevano essere attuali”. Parola di Matteo Rovere che con Il primo re porta in sala la leggenda di Romolo e Remo.

Per raccontarci questo mito fondativo, questo racconto costruito ex post, donatore di senso per chi lo ha poi elaborato, il regista insieme agli sceneggiatori Filippo Gravino e Francesca Manieri ha dato importanza: “ai personaggi, ai sentimenti, al forte rapporto d’amore tra Romolo e Remo e alla loro difficoltà a muoversi in un universo antico, difficile, respingente e portatore di morte, descrivendo poi cosa succede di fronte a un destino beffardo, complesso e più grande di te”.

Interpretano i due fratelli gemelli, fondatori di Roma, Alessandro Borghi e Alessio Lapice.

Il primo re
Il primo re
Il primo re

“Questo film racconta la storia d’amore tra due fratelli, due pecorai che cercano di sopravvivere in un mondo problematico e che poi sono travolti da un evento che li costringe a compiere delle scelte- dice Borghi (Remo)- Hanno due indoli diverse: uno accetta il destino e l’idea che qualcuno abbia deciso qualcosa al suo posto, l’altro invece fa fatica a pensarla in questo modo. C’è anche il concetto di comunità perché colui che decide di farne parte alla fine trionfa, mentre l’individualismo fallisce”.

 

E sulla differenza tra i due Lapice (Romolo) spiega: “Non credo che ci sia uno buono e uno cattivo: ognuno si modula in modo diverso. Io accetto di seguire gli dei anziché fare come lui che li vuole combattere. Seguo la spiritualità degli dei e a un certo punto dovrò scontrarmi con l’amore. Dopo il film ho pensato molto alla condizione umana”.

Questa leggenda, pur molto lontana nel tempo, ha qualcosa di molto attuale e parla alla Roma di oggi. “Si parla di fratellanza, rapporti interpersonali e costruzione di un ordine. Nelle frasi finali c’è qualcosa che non parla solo di Roma, ma anche di attualità, di cosa significa l’imperialismo, la coercizione dell’altro e di come la società si fondi attraverso il divino. Parlo anche della nascita della politica. Noi oggi controlliamo tutto e abbiamo la scienza, ma sentiamo ancora l’inconoscibile, il divino e abbiamo un rapporto continuo con qualcosa di ignoto. Questo elemento ci avvicina molto ai due personaggi che sentono il Dio e la divinità”, dice Rovere.

Alle spalle della storia sulla fondazione del più grande impero di sempre c’è stato un enorme lavoro tecnico. Tutto questo ha dato vita a un progetto ambizioso (la post produzione è durata ben quattordici mesi) che è costato circa nove milioni di euro, coperti in Italia solo in parte e integrati con risorse arrivate dalle coproduzioni. Per rendere il film più veritiero possibile il regista ha lavorato insieme ad archeologi, storici, linguisti e semiologi, tanto che gli attori recitano in protolatino: “Mi interessa fare un cinema realistico che tocchi lo spettatore attraverso la verità dalla lingua, quella che si parlava allora, il trucco e le immagini. Ogni elemento non può essere assente al cinema. Volevo che tutto fosse vero, perfino le ferite”.

Ovviamente anche la scelta delle scenografie ha avuto una grande importanza per la realizzazione di questo film fatto di scenari incontaminati e selvaggi. Come location si è scelto il Lazio, il luogo dove storicamente si è svolta la vicenda perché in questa regione sono stati individuati tutte le tipologie di paesaggi dove si muovono i personaggi del film.

“Nudo, al freddo, di notte. Talvolta sul set non riuscivo più a chiudere le mani. Mangiavamo in mezzo al bosco senza lavarci per giorni, tanto che il primo albergo che ci ha ospitato ci ha chiesto il rimborso per le lenzuola! E’ stato bello relazionarsi con la natura e con la terra”, racconta Borghi. Infine la sceneggiatrice Manieri conclude: “La parola doveva andare in sottrazione. Abbiamo fatto un lavoro sul silenzio cercando di far passare dei contenuti enormi. Abbiamo lavorato sull’archetipo e quando lavori sull’archetipo sei dentro la contemporaneità”.

Nel cast anche Tania Garribba: “Il mio personaggio è un femminile che si fa funzione tra la comunità degli dei e un ordine cosmico che li circonda. Oltre all’ordine spirituale e a quello umano c’è anche un altro tema che è la necessità di passare da due a uno cioè a un unico re che fonda poi la monarchia e il principio d’ordine”.

Prodotto da Groenlandia con Rai Cinema e Gapbusters il film uscirà il 31 gennaio distribuito in almeno 300 copie da 01distribution.