Berlinale ancora nel segno della denuncia con Il colore della libertà di Bille August. Nel giorno di Clint Eastwood e Saverio Costanzo, a strappare applausi in concorso è anche la vera storia del rapporto fra Nelson Mandela e il carceriere bianco, che lo seguì nei suoi ventisette anni di prigionia. Il film - in Italia dal 30 marzo per l'Istituto Luce - si concentra sulla relazione umana fra i due, seguendo l'evoluzione del contesto politico e sociale sudafricano, dal 1968 alla liberazione del leader nero, avvenuta esattamente 17 anni fa: "Mandela è una vera e propria bandiera di pace - racconta il bravissimo Dennis Haysbert che gli presta il volto -. Interpretarlo mi ha dato la speranza che la sua opera possa definitivamente compiersi. Dall'abolizione dell'apartheid sono stati fatti passi da gigante, ma c'è ancora molta strada da fare".
Alle spalle del film un'approfondita ricerca storica, volta a garantire la massima aderenza alla realtà dei fatti. A parte le memorie di James Gregory, l'ufficiale protagonista interpretato da Joseph Fiennes, la produzione internazionale si è anche avvalsa dei numerosi carteggi di Mandela, che il carceriere aveva censurato e raccolto nell'esercizio dei suoi compiti. Il risultato è un affresco intimista, che attraverso il complesso rapporto fra loro, fornisce anche un efficace spaccato sui tempi che cambiano. Tutto inizia nel 1968, col trasferimento di Gregory al carcere di Robben Island. Incaricato di seguire il detenuto Nelson Mandela, l'uomo avrà presto modo di scoprirne umanità e valori, al di là della strumentale vulgata, diffusa dagli organi di governo. La pericolosa intimità che si sviluppa fra i due è però presto ripagata con l'ostracismo. I colleghi lo screditano, la moglie viene radiata dagli ambienti mondani, la carriera è a rischio. A salvarlo dal vuoto che gli si fa intorno sono infine soltanto la tenacia e il cambiare dei tempi, che lo porteranno a resistere, fino alla promozione nel 1991.
Nota al pubblico televisivo per la serie tv 24, la star nera Dennis Haysbert parla del ruolo con entusiasmo e dolore: "Ad accettare ci ho messo due minuti, ma la parte più dura è venuta dopo. Calarmi nella parte di Mandela è stato tanto straziante, che finivo ogni giornata a piangere davanti a un bicchiere di vino". A tormentare l'attore, affiancato fra gli altri dalla bella Diane Kruger già vista in Troy, era soprattuto la sensibilità umana del leader sudafricano: "La sua capacità di rispondere con amore anche a chi lo odiava e umiliava non finirà mai di stupirmi. Non riesco a capacitarmi di come, in 27 anni di carcere, non sia finito per impazzire". Difficoltà e travaglio interiori sono le stesse a cui accenna anche la Kruger. Lo sgradevole ruolo della moglie del carceriere cui l'ha costretta il copione le ha infatti comportato non poche difficoltà: "Il primo istinto è stato quello di rifiutare questa donna intransigente e razzista. Tutto è poi cambiato quando ho conosciuto la vera moglie di Gregory. Soltanto così ho capito e rivalutato grandezza e sofferenza del suo stesso percorso".