We Don't Need Another Hero, cantava Tina Turner. Neanche lei, al tempo Aunty Entity, regina della desertica Bartertown, avrebbe mai immaginato che 30 anni dopo sarebbe tornato Max Rockatansky.

Ed è un ritorno, quello di Mad Max, che potrebbe coincidere con l’operazione più iconica dell’intero 2015.

“My name is Max. My world is fire. And blood”

Fuoco e sangue. Il canovaccio, rispetto alla trilogia originale, non sembra essere mutato di parecchio. Il “guerriero della strada”, non più Mel Gibson, ma il lanciatissimo Tom Hardy, si ritrova ancora lì dove tutto era iniziato, ormai nel lontano 1979: bastarono sei anni a George Miller per creare una leggenda, scardinare l’immaginario collettivo e gettare oltre l’ostacolo quella visione di western post-apocalittico che disegnò nuove traiettorie, partendo dallo sconfinato outback australiano.

Un futuro, quello immaginato da Miller, che oggi sembra addirittura sorpassato per doversi poi compiere nuovamente: al centro di tutto, ancora una volta, la strada. Fury Road, che Warner Bros. porterà nelle sale di tutto il mondo a partire dal 14 maggio (previo passaggio Fuori Concorso al Festival di Cannes), per ammissione dello stesso Miller “è molto vicino a Mad Max 2 (in Italia era Interceptor - Il guerriero della strada, ndr) perché il racconto segue gli avvenimenti di un breve periodo di tempo, solamente alcuni giorni. E poi c’è un lungo inseguimento…”.

Mad Max: Fury Road

Deserto e motori, che dai brevi filmati promozionali finora rilasciati sembrano ancora una volta dominare la scena. Caratterizzata dai “soliti” pirati dediti a barbarie di qualsiasi tipo: se nella trilogia originaria la parola chiave era “gasoline”, questa volta la caccia è motivata dalla riconquista di qualcosa di molto prezioso sottratto al potente Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne). Un gruppo di ribelli, guidato dall’Imperatrice Furiosa (Charlize Theron) riesce a fuggire dalla sua tirannide e Max si ritrova coinvolto con loro nella fuga.

I riferimenti al passato del protagonista – almeno nelle brevi note finora fatte trapelare dalla produzione – accennano solamente al fatto che l’uomo, solitario e silenzioso, “cerca pace dopo la perdita della moglie e del figlio all’indomani dello scoppio della guerra”. Ma Max Rockatansky perse i suoi cari all’inizio del primo capitolo della saga: poi che cosa è avvenuto?...

Dove eravamo rimasti?

L’arcano, anche se non del tutto, lo ha provato a svelare proprio George Miller: “Il Max di oggi è certamente basato sullo stesso personaggio interpretato originariamente da Mel Gibson, un guerriero solitario apparentemente distaccato da quello che accade nel resto del mondo. Ora Tom Hardy reinterpreta a suo modo quel personaggio, e lo fa calandosi in una storia sostanzialmente diversa”.

Mel Gibson in Mad Max

Il sospetto è dunque legittimo: Mad Max: Fury Road è il quarto capitolo della saga o il suo inaspettato riavvio? Quel che è certo, trent’anni dopo Oltre la sfera del tuono, è che George Miller non ne poteva forse più di maialini coraggiosi (Babe va in città) e pinguini ballerini (Happy Feet 1 & 2) e ha finalmente deciso di tornare al timone del suo bolide cult: lo script, firmato dal regista insieme a Nick Lathouris e Brendan McCarthy, è stato concepito dopo un lunghissimo lavoro che ha prodotto oltre 4.500 tavole di storyboard. Immagini mozzafiato e poche parole: la cifra stilistica della saga è nota, e stavolta le possibilità tecnologiche ne amplificano la portata. A determinare poi la temperatura visiva di questa folle esplosività ci ha pensato il direttore alla fotografia premio Oscar John Seale (Il paziente inglese), uno che di luci desertiche se ne intende. Perché si fa presto a parlare di scenari post-apocalittici, ma una cosa è darne l’idea in metropoli che da un giorno all’altro si ritrovano senza milioni di persone (da 28 giorni dopo a Io sono leggenda, fino a The Road), un’altra è calare storie e personaggi in luoghi spopolati a prescindere: è qui che a suo tempo Miller vinse la sua sfida, su strade infinite in cui sfrecciava la V8 Interceptor del guerriero Max.

Mad Max - Oltre la sfera del tuono

L’ultimo percorso, lo credevamo tutti, era quello che terminava nel Thunderdome (La sfera del tuono): ci sbagliavamo, come Tina Turner, perché è evidente che ancora oggi, forse più di ieri, abbiamo un disperato bisogno di eroi.