Sembra una banalità, ma occorre forse sottolinearlo ancora: LOL – Chi ride è fuori non è soltanto un estemporaneo fenomeno prodotto e alimentato da una bolla mediatica. È piuttosto il risultato della congiuntura tra una piattaforma streaming senza una vera identità (esiste una “linea Amazon Prime Video” così come ne esiste una per Netflix? No) dunque bisognosa di attrarre il pubblico più generalista possibile e quello stesso pubblico desideroso di fruire l’intrattenimento leggero che la televisione lineare non è più capace di offrire in modo sistematico e attraente.

Alla sua seconda edizione, LOL si ritrova di nuovo nella curiosa posizione di dover offrire una via di fuga dalla realtà. Se al primo giro funzionò da inatteso esorcismo antipandemico, capace di far ridere lo spettatore anche ricorrendo al grado zero della comicità (pur ben servito dalle tempistiche: l’emblematico “Hai ca**to?” di Angelo Pintus), le nuove sei puntate di LOL sono uscite in esatta concomitanza con la tragedia bellica in Ucraina, costituendo un diversivo a volte perfino imbarazzante per molti spettatori.

Tuttavia la comitiva dei dieci comici in partita non sembra avere la stessa funzione dell’orchestra del Titanic che suona durante il naufragio, quanto quella degli entertainer che durante la guerra si recavano al fronte per risollevare il morale dei soldati. Chiaramente noi siamo spettatori e non militari, ci mancherebbe, e però è il nostro quotidiano immersivo – in cui vediamo le immagini del conflitto praticamente in diretta – che reclama lo spazio per l’evasione e financo il surrogato di una terapia. A base di leggerezza, allentamento della tensione, azzeramento della vergogna di ridere per sciocchezze.

Maccio Capatanda in LOL 2
Foto: Federico Guberti

Il successo di LOL non è solo dovuto al semplice fatto che c’è un parterre di persone che fanno ridere (alcune da qualche decennio), ma anche alla dimensione ibrida e alla collocazione sfuggente. LOL è e al contempo non è molte cose: uno show in quanto derivazione del varietà e aggiornamento della sua tradizione, dall’avanspettacolo alla sketch comedy; una sitcom perché vi aderisce al modello (un paio di ambienti chiusi, punti fissi di ripresa, comicità) pur rinunciando alle risate registrate e mettendo in campo quelle degli “host” Fedez e Frank Matano; una miniserie dalla elementare trama orizzontale che si regge sulla domanda “voglio vedere come va a finire”; un game che piega in senso comico lo schema del gioco di sopravvivenza.

Rispetto al primo ciclo, qui si sente molto di più la scrittura e la stessa progressione eliminatoria sembra rispecchiare aspettative popolari e pesi contrattuali. Ma LOL sta in piedi grazie a e non nonostante il montaggio sovrano – con buona pace di Fedez, uno che questi meccanismi li conosce benissimo, che critica “le risate dove non ridevamo” – nonché alle supposte logiche autoriali (più che “chi ride è fuori”, “chi non funziona è fuori”).

E se la prima edizione ha rafforzato lo status di mainstream dei concorrenti (se ne sono giovati a vario titolo Matano, Elio, Michela Giraud, Ciro Priello, Caterina Guzzanti, Katia Follesa e soprattutto Lillo, qui micidiale guest star), stavolta c’è un cast evidentemente meno omogeneo per classe, esperienza, semplicemente talento.

C’è chi regge meglio l’improvvisazione e l’imprevisto grazie all’unione di consumato mestiere e solido repertorio, c’è chi capisce di essere non-protagonista e quindi serve battute agli altri e si ritaglia momenti di gloria, c’è chi soccombe consapevole della manifesta inferiorità e cerca in qualche modo di emergere.

Mago Forest

Ma è evidente il divario, specialmente se a giocare sono Virginia Raffaele (la migliore, feroce e infallibile) e Corrado Guzzanti (prima disorientato, poi con punte letali come la patata dopo la cottura, infine pacificato ed essenziale alla stabilità all’intero meccanismo) o due fuoriclasse come Mago Forest e Maccio Capatonda che assieme a Maria Di Biase ricordano l’importanza della scuola Gialappa’s (registro demenziale in quanto colto, attento dosaggio del tormentone, satira di costume che non si fa ostaggio dell’attualità: materiale perfetto per LOL). Che siano tutti professionisti formati ed emersi più di dieci anni fa, dentro una televisione che non esiste più, forse non è un caso.