"Curiosità sei donna. Allora guarda il tuo futuro". La voce fuori campo si rivolge a una giovane italiana degli anni '50, in sottofondo una vecchia canzone. Appare una sfera di cristallo attraverso la quale si illuminano le immagini di una naturista che danza, felice nella sua conquistata libertà espressiva e sessuale, immortalata dallo sguardo di Alberto Grifi a Parco Lambro. Sono le sequenze iniziali di Vogliamo anche le rose, il nuovo documentario di Alina Marazzi, presentato a Locarno in Piazza Grande, dove è stato lungamente applaudito. "L'ho pensato per due anni, prima di iniziare a scriverlo. Volevo ripercorrere, con rigore ma anche ironia, i momenti salienti che hanno trasformato la condizione della donna nel nostro Paese", spiega la regista milanese. Ma l'obiettivo finale era anche "far emergere quante contraddizioni evidenti e nascoste ancora gravano sul mondo femminile". Per realizzare il documentario, che sarà distribuito in sala dalla Mikado, la Marazzi ha mescolato materiali d'archivio di ogni genere e supporto a momenti di animazione, ma soprattutto ha messo in scena la narrazione di tre diari, rinvenuti tra gli archivi di Pieve di Santo Stefano, comune dell'aretino. Attraverso le voci di Anita (Milano, 1967), di Teresa (Bari, 1975) e di Valentina (Roma, 1979) passano le riflessioni e le emozioni sui temi più delicati dell'essere donna in quegli anni: la libertà e il piacere sessuale, la parità dei diritti sul lavoro, la contraccezione e l'aborto, l'impegno politico con l'apice del femminismo, le difficoltà del rapporto con il mondo maschile e nell'ambito della famiglia d'origine. In conclusione l'elenco dei risultati ottenuti dalla lotta femminista, mentre nella memoria dello spettatore - specie della spettatrice odierna consapevole dei tanti problemi ancora irrisolti - resta impressa la scritta su un muro di un'aula: "Siamo realiste, chiediamo l'impossibile".