La tartaruga è arrivata a Roma. Via schermo. Bambini contenti (c'era anche un uomo-turtle sul tappeto rosso che firmava autografi ai più piccoli), adulti commossi. Con L'incredibile viaggio della tartaruga - dal 23 ottobre in tutte le sale italiane con Bolero - la sezione "Alice nella citta" conferma di essere una delle sorprese piacevoli di questo festival. Un documentario che ha il sapore delle grandi storie. E un'avventura, quella delle carette di mare, che non ha davvero nulla da invidiare all'epica. Nascono in un ambiente ostile - la terraferma -, fuggono immediatamente per non finire preda di granchi e gabbianelle, s'immergono in mare e partono. Un viaggio che dura 20 anni - per chi sopravvive ovviamente -, dalle spiagge della Florida al Mar dei Caraibi e ritorno. A deporre le uova e iniziare un nuovo misteriosissimo ciclo. "La tartaruga compie questo percorso da oltre 200 milioni di anni - spiega il regista, Nick Stringer -, è una creatura senza tempo e l'icona stessa dell'oceano, che ha imparato a convivere con i cambiamenti che si sono succeduti nell'habitat marino". Sulla scia di documentari quali La marcia dei pinguini e Il popolo migratore, che "hanno dato il là a un nuovo tipo di naturalismo cinematografico", il documentario di Stringer si caratterizza "per una maggiore personalizzazione, il fatto che ci sia una storia forte da raccontare e che interessi un unico personaggio: la tartaruga". Stringer non è sorpreso dalla fortuna di questo genere di film "perché il territorio d'elezione del documentario naturalista è il grande schermo, non il piccolo. E' il cinema a decuplicare la potenza e la bellezza delle immagini". Ma la lavorazione non è certo delle più semplici: "Devi avere molta pazienza e passione. La cosa più difficile per noi era trovarle le tartarughe. Sapevamo dove sarebbero state, ma non quando, e alcune scene, come quella dell'accoppiamento, abbiamo potuto girarla solo in extremis, l'ultimo giorno di riprese". Il suo doc sembra a tratti un film di fantascienza, con l'abisso che è l'ignoto spazio profondo e le strane forme di vita che abitano i mari gli alieni: "L'intento era quello - conferma Stringer -. Raccontare la vita dell'oceano come fosse quella di una galassia lontana. Oggi sappiamo molte più cose del mare, conosciamo meglio le sue creature rispetto a una decina di anni fa, ma possiamo, dobbiamo, fare di più. L'ignoranza genera mostruosità e sporcizia come quelle che vediamo nel film. L'uomo non deve dimenticare di essere un ospite dei mari".