"Putin ci ha risposto ieri, circa la possibilità di permettere a Kirill Serebrennikov di viaggiare, dicendo sia al Festival di Cannes che al governo francese che sarebbe stato lieto di aiutare, ma che in Russia la giustizia è indipendente”.

L’organizzazione del Festival spiega così quella sedia vuota – con tanto di cavaliere in bella vista a ricordare il nome del regista assente – alla conferenza stampa del film Leto, in gara per la Palma d’Oro a Cannes e diretto dal cineasta russo Kirill Serebrennikov, attualmente agli arresti domiciliari in patria, accusato di frode fiscale per aver sottratto 68 milioni di rubli (900 mila euro all’incirca) per finanziare il progetto artistico Platforma.

Anche se secondo molti attori e registi coinvolti in quel progetto tutto questo non è assolutamente vero. Sarebbero piuttosto le posizioni politiche di Serebrennikov, già oppostosi all’annessione della Crimea e sostenitore della causa LGBT, a renderlo inviso ai vertici del Cremlino.

Arrestato durante le riprese del film, Serebrennikov ha ultimato il montaggio a casa, da solo, senza la possibilità di comunicare né con il cast né con la troupe.

Una situazione differente rispetto all’altro regista quest’anno in concorso a Cannes, l’iraniano Jafar Panahi (il film in gara è Three Faces), al quale è stato ufficialmente proibito di realizzare film e abbandonare il paese.

Tornando a Leto, Serebrennikov si concentra su un’estate (come da titolo) cruciale nella Leningrado dei primi anni ’80: è quella del passaggio del testimone tra gli affermati Zoopark e gli ancora non nati Kino, due delle band più significative della scena rock new wave del sound sovietico.

 

In un bianco e nero suggestivo e opprimente, il regista ci riporta ad un’epoca in cui le giovani generazioni iniziavano ad assaporare quello che i coetanei occidentali già vivevano da almeno un decennio: qui, nell’ancora Leningrado sovietica, i musicisti si potevano esibire solo dopo aver presentato i testi per l'approvazione ufficiale, mentre il pubblico poteva assistere ai vari concerti rigorosamente seduto e senza troppi movimenti, o altre manifestazioni d’entusiasmo.

È in questo contesto che il frontman dei Zoopark, Mike Naumenko (Roman Bilyk) incontra l’ancora sconosciuto Viktor Tsoi, destinato a diventare uno dei musicisti di maggior successo e influenti in Russia prima di morire, a soli 28 anni nel 1990, in seguito ad un incidente automobilistico.

Di padre sovietico-coreano, Tsoi è interpretato da Teo Yoo, attore sudcoreano che non conoscendo il russo ha dovuto imparare la sceneggiatura foneticamente.

"Viktor era famoso anche in Corea e per certi versi è stato abbastanza spaventoso interpretarlo, visto che parliamo di un personaggio davvero familiare per milioni di persone nell’ex Unione Sovietica. Per loro è come se stessi vestendo i panni di Gesù", ha detto l’attore.

Tornando agli aspetti politici che un film come questo, soprattutto considerata la situazione attuale del regista, può “nascondere”, il produttore Ilya Stewart spiega: "Credo si tratti principalmente di un film storico, prima che politico, che ovviamente parla del contesto di quel periodo ma senza sottolineare alcune somiglianza con il presente”.