Non tutti forse sanno che James Thierrèe, l'attore transalpino tra i protagonisti di Ce que mes yeux ont vu in concorso alla Festa di Roma, è in realtà il nipote di Charlie Chaplin. Eppure a guardarlo bene la somiglianza c'è, e non solo fisiognomica. Una carriera iniziata nel circo a soli quattro anni, la predilezione per la pantomima, il gusto per la mimica e una discreta qualità di acrobata lo avvicinano a Chaplin in tutto e per tutto: "Come mio nonno mi piace molto il teatro visuale", ed è tutto quello che gli si riesce a far dire a proposito del celebre progenitore. Nel film di esordio di Laurent de Bartillat interpreta un personaggio che somiglia un pò a Charlot: non parla, non sente, si muove in modo buffo. Una maschera, più che un personaggio reale: "una via di mezzo tra un fantasma e un essere umano - precisa l'interpreta -, un oggetto misterioso per lo spettatore, per gli altri personaggi, e anche per me. Laurent fino alla fine non mi ha detto chi fosse veramente Vincent". Vincent è il nome del personaggio di Thierrèe. E' un sordomuto che si guadagna da vivere facendo la "statua" di strada. Un giorno incontra Lucie, una studentessa di storia dell'arte con l'ossessione per i dipinti di Watteau, a cui insegnerà un nuovo modo di vedere le cose, e forse di aprirsi alla vita: "Mi sono concesso una grande libertà con il ruolo interpretato da James. - spiega il regista - Volevo che il suo personaggio disturbasse. Non è morto nè completamente vivo. Si trova ai limiti dell'esistenza. Quando sente che la vita gli si avvicina troppo, allora svanisce". Dipinti che nascondono segreti, studiosi ossessionati, un giallo nel mondo dell'arte, il film sembra ripercorrere le orme de "Il Codice da Vinci". Ma de Bartillat non ci sta: "Volevo fare un film diverso rispetto a quello di Ron Howard. Che fosse soprattutto una meditazione sullo sguardo. Il mio modello è semmai l'Antonioni di Blowup, con i dovuti distinguo. La pittura al posto della fotografia, e l'inevitabile scarto del tempo. Allora c'era molta più libertà e voglia di rischiare". Tre anni di preparazione spesi tra scrittura, finanziamenti e un'imponente lavoro di ricerca sulla vita e le opere di Watteau, ma è tutto vero quello che si racconta nel film? "Watteau è l'artista del mistero per eccellenza. - spiega il regista - Personalità sfuggente, lunatica, fine dissimilatore nella vita e nelle opere. C'erano dei buchi nella sua biografia che ho riempito con la mia fantasia. Per il resto ciò che vi viene detto nel film corrisponde al vero" conclude de Bartillat. Altro motivo forte di Ce que mes yeux ont vu è l' ossessione. I personaggi tendono tutti i loro sforzi verso un unico obiettivo finendo per consumarsi:"C'è molto di personale in questo. - confessa de Bartillat - Rivedendo il film ho capito di averci messo molte cose di me. Del resto non è forse un'ossessione per noi cineasti fare cinema? Il cinema è la nostra psicanalisi, il nostro modo di guardarci allo specchio, e la cosa di cui non possiamo fare a meno se vogliamo sopravvivere ai fantasmi che ci portiamo dentro". E il nipote di Chaplin che ne pensa? "La vita è molto breve. Per chi vuole assaporarla nel profondo, le ossessioni sono obbligatorie".