"Alla fine degli anni Settanta una rivista francese organizzò un referendum tra i critici cinematografici di diversi paesi del mondo per individuare il miglior film girato in quel decennio. Vinse con largo scarto, e non fu una sorpresa, O thiasos (La recita), opera terza di Theo Angelopoulos. La sorpresa, semmai, c'era stata qualche anno prima, al Festival di Cannes del 1975, quando il film, girato l'anno precedente, venne presentato nella sezione collaterale "Quinzaine des Réalisatuers". Sorpresa perché questo film si impose subito come un "capolavoro assoluto", per usare la definizione un po' enfatica cui ricorre, forse troppo spesso, certa critica cinematografica francese, ma che in questo caso risulta del tutto appropriata; sorpresa anche perché i due precedenti lungometraggi di Angelopoulos (Ricostruzione di un delitto e Giorni del '36), pur apprezzabili per diversi motivi, non lasciavano tuttavia presagire una personalità autoriale così straordinariamente dotata come quella che, appunto, si rivela con La recita; sorpresa, infine, perché nel suo paese d'origine - la "Grecia dei colonnelli", una dittatura militare - sembrava impensabile la nascita di un'opera tanto libera creativamente quanto impegnata ideologicamente". Così Bruno Torri, Presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici, introduce la figura di uno fra i più apprezzati cineasti contemporanei, ospite d'onore al Festival del Cinema Europeo di Lecce che, proprio in questo momento, lo vede gradito protagonista del convegno che il SNCCI gli sta dedicando, alla presenza di Vito Attolini, Vincenzo Camerino, Amedeo Pagani e Umberto Rossi. "Il cinema di Angelopoulos, prosegue Torri, è grande: grande nella concezione e grande nell'esecuzione. Anche nei film dove magari è avvertibile qualche indugio manieristico o qualche eccesso di oscurità, si avverte sempre che questo cinema appartiene all'ordine della grandezza, in cui sono comprese la compiutezza formale, lo spessore culturale, la sostanza discorsiva, dunque sono compresi il bello e il vero. Per parlarci dei destini dell'uomo e della dialettica della realtà, Angelopoulos, erede consapevole della millenaria tradizione ellenistica, interroga e coinvolge il Mito e la Storia, ricorre al Teatro e all'Epica, utilizza magistralmente tutte le risorse del linguaggio filmico (i suoi piani sequenza ormai famosi come quelli di Antonioni o di Jancsó), coniuga il classico e il moderno, il pubblico e il privato".