“Il dualismo è un dato di partenza, non un esito: si fa sintesi, sono persone così diverse ma accomunate dalla stessa infelicità, dalla stessa condizione femminile. Tutti sono accomunati dal bisogno”.

Dal romanzo bestseller di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017, al film – il terzo dopo Pulce non c’è (2012) e Figli (2020, sceneggiatura di Mattia Torre), di Giuseppe Bonito: L’Arminuta è l’unico titolo italiano nella Selezione Ufficiale della XVI Festa di Roma e il 21 ottobre arriverà nelle nostre sale con Lucky Red.

Sceneggiatura della stessa Di Pietrantonio con Monica Zapelli, il cast è felice: Sofia Fiore è L’Arminuta, Carlotta De Leonardis Adriana, Vanessa Scalera la Madre, Fabrizio Ferracane il Padre, Elena Lietti Adalgisa.

Estate del 1975, una ragazzina di tredici anni viene restituita alla famiglia cui non sapeva di appartenere: non le viene concesso nemmeno il nome, per tutti è l’Arminuta, ovvero in dialetto abruzzese la “ritornata”.

“Il libro tocca delle corde in maniera così profonda, che non sono ancora consapevole del perché mi abbia attirato. È un romanzo straordinario, un luna park di sentimenti, conflitti, aspetti che mi hanno agganciato, come una vecchia fotografia. Allettante per me che fosse declinata al femminile, una sfida per un regista maschio”, confessa Bonito.

Sulla scelta di Sofia e Carlotta: “A differenza delle altre candidate, la prima non ha descritto quel che vedeva, ma quel che sentiva fuori dalla finestra. Carlotta invece sapeva parlare in abruzzese, l’unica”. La prima sottolinea come “per tutte e due fosse la prima volta, non abbiamo mai studiato recitazione, e questo ci ha unito”, Carlotta parla di “un legame autentico, come se fossimo sorelle”.

Anche la Di Pietrantonio riflette sulla dualità: “Ci sono poli opposti, nel romanzo come nel film, città e campagna, ricchezza e povertà, però è vero che il lavoro che fanno personaggi e tutti noi è la conciliazione. Ci sono infinite posizioni mediane, opposti di cui l’Arminuta è sintesi, conciliazione, complice una grande sforzo di adattamento, crescita e resilienza nel cercare, appunto, una e più posizioni mediane”.

Venendo alle due madri, la Lietti si addebita “il gesto riprovevole di restituire la figlia, pur vivendo nel benessere: il mio è un personaggio facilmente giudicabile”, mentre la Scalera, premettendo che “ho bisogno di lavorare con gente che stimo”, dice di essere “arrivata a questa madre sulla scorta del mondo contadino, della contrizione sentimentale, degli occhi dolenti che ho visto nel paesino del Sud da cui provengo. Di solito gioco in attacco, questo l’ho fatto in difesa, e recuperare quel ricordo è fondamentale. La madre che interpreto ha occhi che esprimono tutto ma non verbalizzano: l’Arminuta è la sua possibilità, una possibilità di affetto”.