"Il potere della finzione riesce a spiegare la realtà meglio di qualsiasi documentario". Da questo assunto sembra essere partito il trentenne Christian Johnston per realizzare September Tapes, primo film non afgano girato in Afghanistan, dieci mesi mesi dopo la tragedia dell'11 settembre e nel bel mezzo dell'offensiva americana nel paese mediorientale. Sulla falsa riga di The Blair Witch Project, September Tapes prende le mosse dal viaggio che il documentarista Don Larson intraprende alla volta di Kabul con l'intento di filmare, seguendo le orme di un cacciatore di taglie, la ricerca e la cattura di Osama Bin Laden. Giunto a destinazione realizza, tuttavia, che molto di quello che aveva appreso dai mass-media non corrisponde al vero e nell'intento di scoprire la verità sul perché dell'attentato alle Due Torri, incontra alcuni membri di Al-Qaeda e dell'Alleanza del Nord. E' proprio uno dei Signori della Guerra a pronunciare una delle battute chiave del film: "Gli americani non vogliono davvero catturare Bin Laden". Il 18 agosto del 2002, Larson viene rapito e dopo appena un mese l'esercito Usa ritrova otto filmati in digitale da lui realizzati abbandonati in una grotta da alcuni terroristi di Al Qaeda. In realtà la storia è completamente inventata: i due protagonisti, il documentarista e la sua guida, sono interpretati dagli attori George Calil e Wali Razaqi. E' però vero il "contorno": l'ambientazione, le bombe, i proiettili, i sentimenti della gente, gli intervistati e le loro parole. Tant'è che al suo rientro in America, Johnston si è visto sequestrare il materiale dal Dipartimento della Difesa Usa, che a due anni di distanza trattiene ancora otto ore di girato. "Abbiamo anche dovuto oscurare alcuni dei volti di coloro che compaiono nel film e cancellare delle  parti di dialogo" ha spiegato Johnston, questa mattina a Roma, in occasione del lancio del film, in uscita nelle sale italiane il 29 ottobre distribuito dalla Metacinema. "I membri dell'Alleanza del Nord sono stati i primi e i più felici d'aiutarci e niente di quello che ci dicono è inventato - ha continuato il regista -. Loro stessi si chiedevano come mai gli Usa avessero deciso di affidarsi a un gruppo di improvvisati cacciatori di taglie per stanare l'uomo più ricercato della Terra". Quanto allo scopo di un'operazione che mescola finzione e realtà, Johnston chiarisce: "Prima dell'uscita nelle sale di Fahrenheit 9/11 non era possibile fare cinema indipendente e raccontare realmente come stavano le cose. Inoltre il pubblico predilige la fiction, per questo abbiamo pensato che potesse essere un modo per attirare gli spettatori nelle sale. L'intento - continua il regista - è quello di educare la gente a porsi delle domande, a non credere sempre che ciò che vede, soprattutto nei tg, corrisponde a verità". Quello che non è stato inserito nel film, confluirà nel dvd - comprese alcune delle scene sequestrate dalla CIA e dal Dipartimento della Difesa Usa, interviste a personaggi di spicco dell'Alleanza del Nord e al cameraman di Ahmed Shah Massud, il leader della resistenza afgana ucciso il 13 settembre del 2001 - nel tentativo di fare un po' più di luce sui motivi che avrebbero potuto indurre il presidente Usa a non catturare Bin Laden. "Sempre che a sorpresa, e provvidenzialmente a ridosso delle elezioni presidenziali, non arrivi la notizia che l'esercito Usa ha messo le mani sul capo di Al-Qaeda" dice sibillino il regista "Ma il tempo corre veloce e mi sembra improbabile che ciò avvenga".