Perché Cetto La Qualunque, Rodolfo Favaretto e Frengo Stoppato finiscono in carcere? E perché riescono a uscirne? Tre storie, tre personaggi, tre destini che si fanno uno: la politica con la “p” che più minuscola non si può. Dopo Qualunquemente (quasi 16 milioni di euro al box office), Antonio Albanese ritrova il regista Giulio Manfredonia: Tutto tutto niente niente, da oggi in 700 copie con 01 Distribution. Ed è un Albanese uno e trino: Cetto, alle prese con una travolgente crisi politico-sessuale; Olfo, la secessione nordista nel cassetto e i migranti clandestini nel portafogli; Frengo, molto “stupefacente” e intenzionato a riformare la chiesa per guadagnarsi la beatitudine. Tutti impegnati nelle primarie, perché direbbe Bersani “mica ci sono solo io e Renzi, ragasssi…”.
Del resto, “Antonio è un comico sui generis”, dice Manfredonia, e analogamente Tutto tutto, niente niente “non è imitazione della nostra realtà, non è parodia della cronaca, ma ha l'ambizione di un personale ritratto dell'Italia, e non solo l'affresco del nostro malcostume”. Come staccarsi dal calco dei Batman de Anagni e i mastelloni di moscardini, i furbetti del quartierino globale e le malversazioni tutte: “Antonio ha tracciato lo stile, noi abbiamo disegnato tra cartoon e fumetto, con grande astrazione. Non c'è l'ultimo accadimento, ma il fumetto fa filtro, con un gioioso distacco: non c'è Reggio Calabria, ma Marina di Sopra, il Parlamento che si vede non è Montecitorio, tutto è reinventato”. Zavattini & illustre compagnia si rivolti pure nella tomba, ma – “E' venuto da fuori”, mette la mani avanti il buon Manfredonia – uno spettro si aggira per l'Italia natalizia targata Cetto-Olfo-Frengo: neorealismo… A rischio contraddizione: “Qualunquemente era molto astratto, questo è neorealista, perché effettivamente i caratteri sono riconducibili alla realtà: nella totale astrazione si ritrova il quotidiano, pur rimanendo io più incuriosito dalla reinvenzione che dalla riproposizione”.
La sfida non è solo poetico-stilistica, bensì commerciale: dalle primarie ai giochi web, il produttore Fandango ha messo in campo il guerrilla marketing, ma basterà per non uscire con le ossa rotte dalle Feste? Tutto tutto niente niente esce in sala forte di “un lavoro a nostro giudizio molto divertente, piacevole: non è un numero 2, un sequel indotto, ma una proposta onesta e innovativa. Certo, le logiche di mercato sono difficili, ma – dice Manfredonia - mi fido di questa collocazione decisa da altri: la sfida di Natale è complicata, ma io ho 45 anni, Antonio 48, è arrivato il momento di giocare in serie A. In questo nostro Paese degli eterni difetti, dove è tutto tutto, niente niente…”.
Non solo, se Albanese fa politica di celluloide, altri comici la fanno sul serio: “Tragicamente i comici hanno sostituito la critica politica per anni: gli unici a dire qualcosa di sinistra, qualcosa di buonsenso erano loro. Ma su un comico che fa il politico… al cinema fa il suo mestiere, nell'agone rischia di farne un altro. Ma rispetto ai politici che fanno involontariamente i comici, beh, non c'è paragone!”. Meglio, dunque, ritornare alla triade di Albanese: accanto a Cetto, quel Frengo che “Antonio non faceva più da 15 anni, e che ora ritorna fuso e mistico da un esilio sudamericano di rave e feste religiose, incarnando lo strano mammismo degli italiani e esplorando il mondo della Roma papalina” e la new entry Rodolfo Favaretto, “un uomo del nord di professione scafista, che non riesce a pronunciare l'agognata secessione: secessionare, cesse, cedere…”.
Ma non c'è solo Albanese, nel cast anche Fabrizio Bentivoglio, Lunetta Savino, Lorenza Indovina, Nicola Rignanese e un Paolo Villaggio “così generoso al netto di una piccola partecipazione quale presidente del Consiglio: la sua presenza vuole essere l'omaggio a un grande padre della comicità italiana, che ha già percorso i nostri sentieri di delirante astrazione”. Archiviato il Cetto-bis, Giulio Manfredonia è atteso da altri sentieri, già calcati in “solitaria” nell'ottimo Si può fare del 2008: “Madre terra arriverà l'anno prossimo con la sceneggiatura di Fabio Bonifacci, e sarà la storia di un'altra cooperativa a cui vengono affidati i beni della mafia nel meridione”. Gira che ti rigira, è sempre Italia. Tutto tutto niente niente